“Non posso pensare che sia tutto finito, che non possa più perdere a carte con te. Che non potrai conoscere il tuo pronipote, che si chiamerà Vincenzo, come te”. Così Nino Morana, nipote di Vincenzo Agostino, ha voluto ricordare in cattedrale, a Palermo, al termine della funzione funebre, il nonno, padre dell’agente Nino, ucciso da Cosa nostra assieme alla moglie incinta, Ida Castellucci, il 5 agosto del 1989.
“Una sconfitta per lo stato italiano”
“Oggi non è soltanto dolore e perdita, oggi è rabbia, oggi è una sconfitta doverti seppellire con la barba e i capelli lunghi ed è un’agonia sapere che non ho mai visto il tuo volto senza il giuramento che facesti 35 anni fa. Oggi è una sconfitta per lo Stato italiano perché dovrà seppellire l’ultimo monumento vivente dell’antimafia senza nemmeno avergli permesso di ottenere la tanta agognata verità e giustizia che ha fatto soffrire fino alla fine dei suoi giorni”, ha detto Nino Morana.
“Ti giuro Vicè – ha aggiunto – la nostra lotta non si fermerà oggi continueremo a lottare per te continuerò a chiedere verità e giustizia che hai sempre urlato e che ti è stata negata fino all’ultimo. La mia è una promessa che continuerò a mantenere viva la tua battaglia e la tua memoria “.
L’omelia di Lorefice: “Gli siamo riconoscenti”
“Vincenzo Agostino è stato da trentacinque anni – insieme alla sua amatissima moglie Augusta Schiera –, da quel tormentoso 5 agosto 1989, una vedetta, una sentinella, un vegliardo. Nonostante il buio della notte, allorché nel suo spirito poteva scendere una schiacciante angoscia, è diventato una fonte di incrollabile speranza per noi tutti, per questa nostra terra martoriata e per l’intero Paese; e particolarmente per i suoi cari e per noi che oggi lo salutiamo con il cuore spezzato ma con immensa ammirazione e con uno speciale debito di riconoscenza”.
E’ quanto ha detto l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice nel corso dell’omelia durante la celebrazione dei funerali di Vicenzo Agostino, padre del figlio Nino poliziotto ucciso dalla mafia a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Ida Castellucci e figlio che la moglie portava in grembo.
La sua barba un segno di lotta e speranza
“La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi il segno della resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del ‘male strutturato” che ardiscono eliminare finanche – come lui stesso ebbe a dire – il “bene di un figlio, di una nuora, di un bambino mai conosciuto”; che sterminano Nino, un onesto e accorto servitore dello Stato, la sua giovane moglie Ida e il bambino che avevano concepito da pochi mesi; insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato – ha aggiunto l’arcivescovo Lorefice – Ma quella barba è stata anche narrazione del suo vegliare nella notte, dell’uomo che con gli occhi penetra l’oscurità e attende con certezza l’irrompere della luce della verità che l’orgoglio e la tracotanza di uomini corrotti e alla ricerca di potere credono di sopraffare.
Conclude Lorefice: “Ha infuso speranza. Ha chiesto di non assopirci. Ci ha provocati a non cadere nell’indifferenza deresponsabilizzante e a non abituarci al male. Quella barba è quei capelli bianchi che esaltavano i suoi occhi pieni di luce nonostante le tenebre, sono stati per noi monito a rinnovarci, a rimanere desti, a porre domande: “se volete domandare, domandate, convertitevi, venite”.
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