Una discarica sottomarina a Pozzallo. Mentre l’Italia si prepara al referendum del 17 aprile sulle trivellazioni nel nostro mare, nuove ed inquietanti rivelazioni destano preoccupazione per l’ambiente e la salute dei cittadini.

La premessa riguarda Vega, la più grande piattaforma petrolifera fissa offshore d’Italia. Si estende al largo di Pozzallo (Ragusa) per 184,8 km quadrati. È gestita da Edison, per conto di una società mista Edison (60%) ed Eni (40%).

La piattaforma è stata appoggiata nel febbraio 1987, su un fondale di circa 122 metri di profondità d’acqua tramite un Jacket, struttura di acciaio tubolare a forma di traliccio con otto gambe ancorate al fondo marino per mezzo di 20 pali, su cui sono stati successivamente posati i restanti moduli di produzione e servizi.

Secondo l’indagine dei giornalisti investigativi di “Italian Offshore” la piattaforma Vega avrebbe illecitamente smaltito poco meno di mezzo milione di metri cubi di acque inquinate con metalli, idrocarburi ed altre sostanze. L’accusa è di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”. Non molto diversa da quella che ha portato al recentissimo intervento della magistratura in Val d’Agri.

In pratica la piattaforma Vega avrebbe trasferito le acque contaminate derivanti dal processo di estrazione di petrolio, a una nave appoggio, la Vega Oil (una ex petroliera) che inietterebbe – la forma dubitativa è d’obbligo – queste acque, assieme alle acque di sentina e alle acque di lavaggio della nave stessa, nel Vega 6, un pozzo petrolifero sterile, alla profondità di 2.800 metri circa.

Per i giornalisti che hanno condotto l’indagine, al largo delle coste siciliane altro non si troverebbe che una pericolosa discarica sottomarina che rischia di contaminare per secoli i fondali del Canale di Sicilia.

Nel 2007 è anche iniziato un processo sulle attività della piattaforma, ma ormai si avvia a prescrizione. Nel 2010 l’Ispra, l’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale, aveva lanciato l’allarme sull’inquinamento presente nella zona, ma nel 2012 il Ministero dello Sviluppo Economico ha concesso una proroga alla continuazione delle attività.

Il documento consente addirittura di realizzare nuovi pozzi nel campo Vega. Il “piano di lavoro” prevede infatti la realizzazione di un’altra piattaforma (Vega B) e la trivellazione di altri 12 nuovi pozzi. Se dovesse passare il Sì al referendum del 17 aprile difficilmente Vega B non si farà.

“Il ministro Galletti continua a dire che le piattaforme petrolifere e le trivellazioni sono sicure, ma il caso della piattaforma Vega dimostra il contrario”, denunciano i senatori Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino (Sinistra Italiana-Altra Europa con Tsipras), che hanno depositato oggi una interrogazione urgente al ministro dell’Ambiente.

“Ben 496.217 metri cubi di acque contaminate da metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e metil-ter-butil-etere” sarebbero state iniettate nel pozzo“, tuonano i senatori.

Ma essendo il pozzo Vega 6 permeabile, secondo l’ISPRA “ragionevolmente la contaminazione ha interessato un’area di maggiore estensione”, coinvolgendo anche “altre formazioni geologiche con essa confinanti e in comunicazione”. Tale fenomeno, sempre secondo l’ISPRA, sarebbe anche stato favorito dal trattamento con acido cloridrico, uno dei liquidi più corrosivi esistenti, che la Edison avrebbe utilizzato per ampliare la capacità di contenimento del pozzo, e dalla fratturazione della matrice rocciosa per aprire in essa nuove vie per lo scorrimento dei fluidi.

“Il procedimento penale avviato nel 2007 contro alcuni dirigenti del Campo Vega per il reato di illecito profitto dovuto allo smaltimento di rifiuti pericolosi non autorizzato per l’attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi non è ancora arrivato al primo grado di giudizio, e rischia ora di cadere in prescrizione”, denunciano i Senatori, che sollecitano il ministro per l’Ambiente a intervenire.

Il fatto è tanto più grave, continuano, “se si considera che la situazione non è nemmeno sanabile, vista la profondità del pozzo”. Per questo l’ISPRA chiedeva il risarcimento del danno ambientale, per un ammontare di 69.470.380 euro, pari al costo dello smaltimento regolamentare del quantitativo accertato di questo tipo di rifiuti. “Un risarcimento dovuto alla collettività, che ora rischia di andare perduto”.

“Non intervenendo, il Ministro lascia intendere che il nostro mare può essere inquinato impunemente. E questo mentre il governo continua irresponsabilmente a sostenere che le trivelle sono sicure”, concludono Campanella e Bocchino.