PALERMO (ITALPRESS) – Otto fermi nella famiglia mafiosa di Bagheria: blitz dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo, che hanno eseguito un provvedimento di fermo – su richiesta della Dda palermitana – nei confronti di 8 persone ritenute, a vario titolo, responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.
L’indagine, denominata “Persefone” e seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore aggiunto Salvatore De Luca, costituisce l’esito di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo investigativo di Palermo sulla famiglia mafiosa di Bagheria, che ha consentito di comprovarne “la perdurante operatività”.
L’indagine ha subìto un’improvvisa accelerazione in merito a un progetto omicidiario recentemente pianificato dai vertici della famiglia mafiosa ai danni di un pregiudicato locale, estraneo al clan e ritenuto poco incline al rispetto delle ‘regolè imposte dall’organizzazione.
Le investigazioni, nel loro complesso, hanno permesso di attribuire gravi responsabilità penali ai capi e ai gregari della famiglia mafiosa bagherese. E’ stato accertato che il ruolo di comando, ricoperto in una prima fase da Onofrio Catalano (detto ‘Ginò) con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti (poi arrestato nel corso dell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia), era poi stato assunto dal più ‘autorevolè Massimiliano Ficano. Questi, in forza del forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale, indusse Catalano “a ridimensionare il proprio ruolo e lo relegava in posizione subordinata, con compiti esclusivamente connessi alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione del nuovo capo famiglia”.
I due capi famiglia, nonostante il travagliato avvicendamento al vertice, si sono impegnati, sottolineano gli inquirenti, “nel mantenere il controllo del territorio, imponendo la commissione di estorsioni e, soprattutto, assumendo la ferrea direzione delle piazze di spaccio di stupefacenti (nel cui ambito operano solo i soggetti ‘autorizzatì da Cosa Nostra, tenuti a versare periodicamente una quota fissa dei profitti), ritenuta la principale fonte di profitto per le casse del sodalizio. Tali scelte operative sono il frutto di una precisa strategia delineata del capomafia Ficano”. Nel corso di una conversazione intercettata con un suo stretto collaboratore, il capomafia affermava che “in questo momento le attività più remunerative per la famiglia mafiosa di Bagheria erano costituite dalla gestione di centri scommesse e dal traffico di sostanze stupefacenti”. Ficano controllava “direttamente” le attività, “anche se non si esponeva mai in prima persona, delegando i suoi più fidati collaboratori”.
Il provento serviva anche “a provvedere al sostentamento dei familiari dei detenuti, dovere ‘sacrò dei capimafia liberi in quanto, in caso di mancato adempimento di tale delicata incombenza, vacillerebbe il vincolo di omertà interna e, di conseguenza, la graniticità di Cosa Nostra”, osservano i militari.
Nonostante la scelta di puntare su scommesse e stupefacenti, non è comunque venuto del tutto meno “l’impegno estorsivo, declinato sia nella forma della ‘messa a postò delle imprese impegnate nei cantieri locali, sia in quello volto a garantire il controllo del territorio, anche mediante la risoluzione delle controversie tra privati”. Accertata una condotta estorsiva messa in atto da Catalano nei confronti dei titolari di un panificio a Bagheria, “rei di produrre dolci che, considerata la vicinanza dell’attività ad un bar gestito da un soggetto vicino alla famiglia bagherese di Cosa Nostra, danneggiavano economicamente il titolare. Le vittime, conseguentemente, sono state effettivamente costrette a smettere di produrre i dolci oggetto della contestazione mafiosa di ‘concorrenza slealè”.
Nelle indagini è dunque emersa la centralità della figura di Ficano, esperto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Bagheria, che, dopo aver espiato una condanna definitiva per associazione mafiosa e approfittando del vuoto di potere generato dalla costante azione repressiva, “ha riacquisito la posizione di vertice del sodalizio criminale bagherese, imponendo le decisioni della famiglia mafiosa anche con metodi violenti”; “poteva contare su una nutrita compagine di sodali (fra i quali gli indagati ‘Ginò Catalano (ex reggente), Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano) dediti al pervasivo controllo criminale del territorio.
Ficano, inoltre, è da tempo inserito “in qualificatissimi circuiti criminali” e in passato ha gestito una parte della lunga ‘latitanza bagheresè del defunto capomafia corleonese Bernardo Provenzano. Sono emerse anche le responsabilità penali sull’anziano imprenditore edile Carmelo Fricano (detto “Mezzo chilo” e arrestato oggi), ritenuto soggetto vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e, in particolare, allo storico capo mandamento detenuto Leonardo Greco. In passato, infatti, “diversi collaboratori di giustizia hanno indicato Fricano quale prestanome del capo mafia ergastolano”, concludono i carabinieri.
(ITALPRESS).
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