PALERMO (ITALPRESS) – Ucciso semplicemente per avere fatto il proprio dovere di medico, respingendo le pressanti richieste di Cosa nostra di alterare una perizia ed evitare l’incriminazione di un boss: Paolo Giaccone se ne andava quarant’anni fa, freddato da cinque proiettili tra i viali del Policlinico di Palermo che oggi porta il suo nome. Lo hanno ricordato con una cerimonia sul luogo dell’eccidio la figlia Milly, gli ex colleghi e gli attuali dirigenti del dipartimento di Medicina legale, il sindaco Roberto Lagalla (ex allievo di Giaccone), il rettore Massimo Midiri e il procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo Lia Sava.
Oltre che come docente ordinario di Medicina legale, Giaccone esercitava la professione svolgendo consulenze per il Tribunale, in un periodo profondamente segnato dalla pervasività di Cosa nostra nel tessuto sociale ed economico della città. Nel 1981, dopo una sparatoria a Bagheria in cui persero la vita quattro persone, gli fu assegnato l’incarico di esaminare un’impronta digitale lasciata da uno dei killer: questi venne poi identificato in Giuseppe Marchese, esponente di spicco della cosca di corso dei Mille. Diverse furono le intimidazioni nei confronti di Giaccone affinchè modificasse la perizia e scagionasse Marchese, ma il medico fu irremovibile e il killer venne condannato all’ergastolo. L’11 agosto 1982 il drammatico epilogo, in una Palermo ancora scossa dall’omicidio di Pio La Torre e che tre settimane dopo sarebbe rimasta impietrita dalla strage di via Carini.
Lagalla ricorda Giaccone come “un eroe silenzioso, che ha inviato alle giovani generazioni una testimonianza di rettitudine, onestà intellettuale, ma soprattutto svolgimento costante e silenzioso del proprio dovere. Una figura di grande rilievo, divenuta eroica nel momento in cui l’affermazione di questi valori è inciampata drammaticamente nelle pretese di chi fa della prevaricazione e del sopruso un metodo di vita”.
Con l’ex docente di Medicina legale il primo cittadino sottolinea di aver sostenuto l’ultimo esame prima della laurea: “Ma non avevo studiato particolarmente bene e mi mise 27 -, spiega, – Al di là di questo provavo sincera stima e rispetto per Paolo Giaccone e ogni anno venivo alla sua commemorazione anche se non ricoprivo ruoli istituzionali”.
Lagalla rilancia poi la necessità che l’Università sia “il più alto riferimento nella trasmissione dei valori agli allievi, fornendo un esempio non solo a parole ma anche nei comportamenti. E la lotta alla mafia è tra i più importanti di questi valori: è ingiustificabile che la paura abbia generato ritardi nella posa della lapide per Giaccone, come è ingiustificabile che in quella per il procuratore Gaetano Costa non ci sia nessun riferimento alla morte per mano mafiosa. Prima della prossima ricorrenza mi impegnerò a far sostituire questa lapide, perchè resti come monito l’origine dell’eroismo di Costa”.
La maggiore peculiarità di Giaccione è, secondo Midiri, “l’essere stato fino all’ultimo privo di condizionamento, deciso a non piegare la testa dinanzi ai mafiosi. Ai nostri ragazzi dobbiamo insegnare che la libertà di scelta è sempre possibile”. Il rettore, anch’egli formatosi come medico, traccia poi un dettaglio di quel maledetto 11 agosto di quarant’anni fa: “Accorremmo tutti non appena la notizia della morte si sparse: non posso non ricordare il viso vitreo di Giovanni Falcone quando arrivò sul luogo del delitto. E’ innegabile però che dopo la morte di Giaccone si è sviluppato un modo nuovo di affrontare la mafia”.
Milly Giaccone racconta un aneddoto legato al luogo della morte del padre: “Quando venivo al Policlinico con lui, cosa che avrei dovuto fare anche il giorno in cui è morto, lasciavamo la macchina sempre vicino al punto in cui oggi c’è la lapide: ‘Scendi nella tua aiuolà, mi diceva sempre”.
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(ITALPRESS)
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