L’esplosione del Coronavirus, oltre a cambiare materialmente la vita delle persone, ha avuto l’effetto di creare sentimenti di ansia e paura. In questa fase storica, in molti guardano agli psicologi, che hanno strumenti di lettura certamente più sviluppati. Blogsicilia ne ha parlato con Giuseppe Sampognaro, psicologo presso l’Unità di Neuropsichiatria infantile dell’Asp di Siracusa, specializzato in psicoterapia della Gestalt presso l’Istituto di Gestalt Hcc.

Dottore Sampognaro, che tipo di paure sta ingenerando il coronavirus?

Nella storia dell’umanità si registrano eventi cruciali che hanno segnato un’epoca per il terrore che sono stati capaci di suscitare; eventi che sono considerati come veri e propri spartiacque emotivi: guerre, terremoti, pestilenze, attacchi terroristici. L’epidemia – che si sta trasformando in pandemia – di coronavirus è uno di questi, a causa del fortissimo impatto emotivo che ha su ciascuno di noi. Per sua natura, la mente umana è in grado di adattarsi a ogni tipo di situazione ambientale, anche la più drammatica, ma ha bisogno di rielaborare in senso positivo ogni evento traumatico per trovare risorse e progettare una via d’uscita. Dopo una prima fase in cui sembrava che si potesse sdrammatizzare e considerare il pericolo da contagio alla stregua di una patologia influenzale solo un po’ più complessa, oggi le informazioni ci allarmano e ci costringono a ri-programmare la nostra sensazione di pericolo. La paura che fino ad alcuni giorni fa sembrava eccessiva e immotivata adesso appare legittima, e ritrova il suo significato ancestrale: la paura è un’emozione protettiva, che ci spinge a cercare in modo istintivo e spasmodico la via più sicura per sopravvivere alla situazione di pericolo che ora, di momento in momento, sembra poter minacciare le nostre vite.

I filmati della fuga verso la stazione ferroviaria di Milano hanno suscitato molta impressione. Come si può spiegare questo fenomeno?

Osservare una massa di persone in fuga verso un treno che simboleggia un’ipotetica “salvezza” evoca nelle persone immagini apocalittiche; come se fosse la prova dell’estrema drammaticità del momento. Inoltre la paura, come tutte le emozioni primarie, è “contagiosa”. Le neuroscienze ci dicono come l’organismo umano tenda a empatizzare e a identificarsi in chi vive stati d’animo estremi, a riprodurne le azioni, a sperimentare – in questo caso – lo stesso tipo di angoscia anche a livello corporeo. Allo stesso tempo, la consapevolezza che questo tipo di fuga sia un comportamento disorganizzato che può avere come conseguenza la diffusione del virus, e quindi minacciare la salute di tutti noi, suscita rabbia e riprovazione. E’ proprio il forte conflitto tra apprensione ma anche aggressività verso chi fugge, a rendere particolarmente drammatico il vissuto di chi osserva quei filmati.

Quali consigli si sente di dare?

Dal punto di vista psicologico, predicare la calma e la freddezza è – paradossalmente – inutile e forse controproducente. Nel senso che nessun essere umano, per ciò che sinora è stato detto detto, può autoimporsi la serenità in una situazione oggettivamente ad alto rischio. E raccomandare un atteggiamento serafico alle persone attanagliate dalla paura produce l’unico risultato di farle sentire incomprese, umiliate, ancora più emarginate e sole. Nel contatto con i nostri pazienti, noi psicologi non utilizziamo “strategie” studiate a tavolino, piuttosto diamo spazio al nostro essere persone umane, e offriamo accoglienza alla paura altrui. Prendersi cura significa comprendere innanzitutto le ansie senza non banalizzarle; accettare e comprendere lo stato d’animo alterato delle persone. Piuttosto, è su altro che bisogna far leva. Uno dei punti cardine è far emergere il senso di responsabilità; un altro, è sostenere la consapevolezza che questa situazione di emergenza finirà e la si supererà tutti insieme, grazie alla collaborazione e alla solidarietà delle persone, chiamate ad attenersi alle indicazioni di chi coordina le misure preventive. In altre parole: la paura è plausibile e va compresa e accolta. Allo stesso modo, le persone vanno motivate rispetto alle loro capacità di resilienza, cioè alla capacità umana, innata, di resistere alle avversità adottando comportamenti responsabili, e mantenendo una alleanza solidale con tutti. Incentivando, quindi, il senso del “noi”, agevolare questo far parte di un insieme di persone legate da un vincolo affettivo, e che vogliono fortemente uscire dal tunnel.

La vostra attività di psicologi ha subìto o subirà cambiamenti?

La situazione è in continua evoluzione, e il dibattito è aperto anche all’interno della nostra professione. Viviamo le stesse paure di tutti, e in questi giorni stiamo sperimentando il conflitto tra il forte desiderio di offrire sostegno e accoglienza ai nostri pazienti, e la necessità di adeguarci alle esigenze di profilassi che impediscono contatto e vicinanza fisica. Sino a questo momento, l’Ordine degli Psicologi ci raccomanda di adeguare gli studi professionali in termini di assoluta igiene e rispetto della nuova normativa, permettendoci così di continuare le sedute e i colloqui psicologici. Un sempre crescente numero di colleghi, però, sta adottando altre modalità, basate sulla tecnologia on line (sedute via Skype o contatti whatsapp o via mail, o telefonici), per eliminare qualsiasi rischio di contagio e offrire ai pazienti la massima, totale sicurezza. La soluzione telematica è d’obbligo nei casi di pazienti immunodepressi o in preda a crisi emotive che impediscono loro di recarsi presso lo studio professionale. Non è da escludere che, entro poco tempo, questa possa diventare l’unica modalità – imposta dalle istituzioni sanitarie – per dare e riceve aiuto psicologico. In ogni caso, ci adegueremo.

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