Ricominciare dal territorio, recuperare una storia secolare fatta di saperi e di pratiche antiche per iniziare a ricreare un futuro sostenibile sotto il profilo economico, sociale e ambientale. È ciò che la comunità di Siracusa sta ricominciando a fare per risalire la china dopo più di due decenni di crisi industriale e occupazionale.
Le dinamiche che animano questo lungo e laborioso processo sono raccontate nello studio dell’istituto di ricerca Aaster, incaricato da Conad di condurre un momento di ascolto sulla comunità locale siracusana per comprendere i fenomeni che la attraversano in questi tempi di profondo cambiamento sociale, culturale ed economico.
Lo studio viene presentato è stato presentato nel corso dell’incontro “Fare Comunità nella Comunità di Siracusa”, presso il Santuario Madonna delle Lacrime Via del Santuario, evento che si inserisce nell’ambito dell’iniziativa Conad Il Grande Viaggio Insieme.
Con Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster e coordinati dalla giornalista Marianna Aprile ci saranno il sindaco di Siracusa Giancarlo Garozzo, l’assessore ai beni e politiche culturali Francesco Italia, Don Aurelio Russo, rettore della Basilica Santuario Madonna delle Lacrime, Giovanni Grasso, vice presidente Fondazione di Comunità Val di Noto, Michele Miceli, Fabio Moschella e Domenico Sorrenti, presidenti rispettivamente della Cooperativa Ovale dell’Anapo, del Consorzio Limone di Siracusa e della Cooperativa Birrificio Messina Padre Marco Tarascio, direttore della Caritas Siracusa e Francesco Pugliese, amministratore delegato Conad.
L’indagine condotta da Aaster illustra come il territorio siracusano, al pari di tutta la Sicilia e il Sud Italia, abbia accusato con anticipo e con maggiore vigore i colpi della crisi economica, per effetto del progressivo ridimensionamento del grande polo chimico e della fine degli interventi statali nel Mezzogiorno. Già dagli anni ’90, man mano che l’impatto economico del polo si andava riducendo, si è però fatta strada nella comunità locale “la consapevolezza della necessità di utilizzare le eccellenze locali e il territorio stesso” quale volano di crescita. “Gli attori locali iniziano a comprendere che le vere risorse economiche, quelle che possono permettere di competere nel mondo, sono i beni intrinseci territoriali sui quali era calato il sipario in epoca fordista”, si legge nella sintesi dell’indagine. “Si tratta di beni che non possono essere riprodotti altrove, che fanno discendere dalla loro unicità e localizzazione geografica il proprio valore potenziale”.
È da questa consapevolezza che Siracusa sta ripartendo, emblema di un Sud in perenne equilibrio tra voglia di rivalsa e sopravvivenza, ma che cerca di rialzarsi, cosciente del proprio valore. Non si tratta, però, di un percorso in discesa. Come mette in luce lo studio Aaster, la difficoltà che oggi Siracusa incontra è quella di organizzare e valorizzare i propri patrimoni per far sì che portino ricchezza e benessere. Un’operazione tanto più complessa se si considera che sia i sistemi produttivi, quanto le logiche del mercato stanno facendo i conti con una crisi economica globale che dal 2008 ha stravolto gli assetti esistenti.
Attraverso una serie di interviste lo studio racconta come alcuni protagonisti della comunità hanno messo in atto “buone pratiche di resilienza”, che oggi costituiscono “avanguardie agenti” a cui la comunità guarda con fiducia.
Sono esempio di “buone pratiche” i lavoratori del birrificio Messina, che licenziati nel 2011 hanno investito il loro Tfr fondando una cooperativa e raccogliendo 3,2 milioni di euro di investimenti, e oggi continuano a produrre birra. Oppure i lavoratori della Cooperativa Ovale dell’Anapo, una delle tipicità agroalimentari siracusane, l’arancia ovale, che rischiava di scomparire a causa degli alti costi di produzione, ma che oggi è considerata una delle eccellenze del territorio. Non ultima l’esperienza del Consorzio di Tutela del Limone di Siracusa IGP, che sopravvive alla concorrenza estera proprio perché i suoi componenti hanno compreso l’importanza della promozione e di valorizzazione delle unicità locali.ù
Di qui nasce la definizione della “comunità operosa”, che per sopravvivere alimenta la contaminazione e l’ibridazione dei propri patrimoni con i saperi moderni: digitalizzazione, innovazione di processo e di prodotto, logistica, comunicazione.
“Tutto ciò non è solo una questione di acquisizione di tecniche e di competenze, né, si badi bene, solo questione di adeguate politiche di accompagnamento, è questione, almeno in prima battuta, di agire sulla ‘voglia di comunità’: voglia di comunità operosa e voglia di comunità di cura” conclude la ricerca.
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