ROMA (ITALPRESS) – “La nostra formazione professionale è molto legata alla sperimentazione di idee nuove per il futuro della vita di una comunità. La pandemia ha stimolato e spinto gli architetti a ragionare sul modello futuro, che in qualche modo era già rappresentato in diversi studi, ricerche ed elaborazioni del recente passato”. Lo ha detto Francesco Miceli, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia di Stampa Italpress.
“Secondo me – ha evidenziato – l’idea prevalente è che la città del futuro debba avere, in termini temporali, una sua fase slow, nel senso che i cittadini possono vivere in una città policentrica e, con un rapido movimento, avere a disposizione le soluzioni alle proprie esigenze”. Un tempo, quindi, “slow” per muoversi “con tranquillità e risolvere i problemi della vita di tutti i giorni” ma anche una “dimensione fast, veloce, la possibilità di collegarmi con le altre realtà – ha detto – e farlo velocemente. Non più un centro e una periferia, ma una città policentrica”.
“Bisogna mettere in campo – ha poi aggiunto – programmi per costruire città in cui biotecnologia e digitalizzazione diventano il supporto fondamentale della vita di tutti i giorni”. Per Miceli, occorre però evitare “che tutto ciò si riduca a una società molto tecnologica venendo meno il tema dell’emozione e del sentimento che l’architettura, gli spazi pubblici e la città devono continuare a mantenere”.
Nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, “mi sarei aspettato – ha affermato – che tra le riforme che venivano indicate ci fosse anche quella urbanistica. Abbiamo un sistema fondato sui principi della legge fondamentale urbanistica del 1942: sono passati 80 anni”. In ogni caso, il presidente del Consiglio nazionale degli architetti ha chiarito che la categoria “è impegnata a sostenere un lavoro di ripresa e rinascita del Paese. Daremo un contributo – ha affermato – e lo faremo in termini di idee, proposte, supporto alle strategie che si metteranno in campo. E’ chiaro che su queste vogliamo anche dire la nostra”.
In merito al codice degli appalti, il “massimo ribasso” per Miceli non è “la soluzione migliore perchè non dà garanzie sulla qualità di realizzazione dell’opera. Costringe l’impresa, per avere maggiore profitto – ha evidenziato -, a operare con tecniche e materiali non sempre adeguati”.
(ITALPRESS).
“Secondo me – ha evidenziato – l’idea prevalente è che la città del futuro debba avere, in termini temporali, una sua fase slow, nel senso che i cittadini possono vivere in una città policentrica e, con un rapido movimento, avere a disposizione le soluzioni alle proprie esigenze”. Un tempo, quindi, “slow” per muoversi “con tranquillità e risolvere i problemi della vita di tutti i giorni” ma anche una “dimensione fast, veloce, la possibilità di collegarmi con le altre realtà – ha detto – e farlo velocemente. Non più un centro e una periferia, ma una città policentrica”.
“Bisogna mettere in campo – ha poi aggiunto – programmi per costruire città in cui biotecnologia e digitalizzazione diventano il supporto fondamentale della vita di tutti i giorni”. Per Miceli, occorre però evitare “che tutto ciò si riduca a una società molto tecnologica venendo meno il tema dell’emozione e del sentimento che l’architettura, gli spazi pubblici e la città devono continuare a mantenere”.
Nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, “mi sarei aspettato – ha affermato – che tra le riforme che venivano indicate ci fosse anche quella urbanistica. Abbiamo un sistema fondato sui principi della legge fondamentale urbanistica del 1942: sono passati 80 anni”. In ogni caso, il presidente del Consiglio nazionale degli architetti ha chiarito che la categoria “è impegnata a sostenere un lavoro di ripresa e rinascita del Paese. Daremo un contributo – ha affermato – e lo faremo in termini di idee, proposte, supporto alle strategie che si metteranno in campo. E’ chiaro che su queste vogliamo anche dire la nostra”.
In merito al codice degli appalti, il “massimo ribasso” per Miceli non è “la soluzione migliore perchè non dà garanzie sulla qualità di realizzazione dell’opera. Costringe l’impresa, per avere maggiore profitto – ha evidenziato -, a operare con tecniche e materiali non sempre adeguati”.
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