Il nipote di Matteo Messina Denaro si “confessa” e racconta del pianto liberatorio quando ha saputo che il boss era stato arrestato. Spera che qualcosa possa cambiare, che l’atteggiamento nei confronti suoi e della sua famiglia non sia più ostile. Ammette che sono stati anni difficili sin da quando la sua famiglia ha deciso di rinnegare il latitante pubblicamente. Parole che Giuseppe Cimarosa ha detto in una intervista a Radio Vela ai microfoni di Riccardo Gaz.

La paura e le provocazioni

Giuseppe Cimarosa è figlio del collaboratore Lorenzo, morto qualche anno fa, e di Rosa Filardo. La mamma di quest’ultima è figlia della sorella della madre dell’oramai ex latitante. Il nipote di Messina Denaro racconta delle difficoltà vissute in questi anni e non nasconde la sua paura. “Quando è capitato in paese di incrociarci con i parenti – afferma – ci guardano male, mi sono anche capitate di frequente aggressioni verbali. Loro provocano molto. Io non ho mai sentito affetto da parte loro, sono molto chiusi, loro usano le persone, le spremono come arance e le buttano via”. Si dice stupito che il latitante vivesse a pochi chilometri da Castelvetrano: “Se lo avessi visto a tu per tu, da vicino, guardandolo attentamente lo avrei riconosciuto. Chissà se di sfuggita l’ho incontrato”.

Il piano con la mamma

A testimonianza della scelta non facile anche la reazione alla notizia dell’arresto. “Quando abbiamo saputo la notizia ci siamo abbracciati con mia madre piangendo – racconta Giuseppe Cimarosa -. Adesso la vera battaglia è culturale. Noi siamo sempre stati additati come traditori e sbirri. Mi auguro che si attenuerà questo comportamento nei nostri confronti. Ma serve un cambiamento culturale”. La famiglia Cimarosa-Filardo decise di voler rimanere a Castelvetrano nonostante lo Stato gli abbia offerto protezione.  Loro però non hanno voluto rinunciare allo loro terra.

I ricordi della madre

Sempre nell’intervista Giuseppe Cimarosa racconta anche dei ricordi che ha sua madre di Messina Denaro, che fu al loro matrimonio nel 1981 prima che diventasse latitante. “Era contraria alla dinamiche mafiose – sostiene Giuseppe – anche se non si esponeva. Ma erano altri tempi, non c’erano gli strumenti e non avrebbe potuto rinnegarlo pubblicamente”.

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