Continua con successo il cartellone del Calatafimi Segesta Festival – Dionisiache 2018, con la direzione artistica di Nicasio Anzelmo. Al Teatro Antico di Segesta, l’alba del 5 agosto, alle ore 5, “Infernu” di Dante, con la regia di Berta Ceglie. Sul palco Berta Ceglie, Giovanni Carta, Rosario Valenti, Sergio Greco, Roberto Carrubba, Pierfrancesco Scannavino, Alessandro Caramma, Tecla Guzzardi, Antonio Lombardo, Turi Scandura, Michelangela Cristaldi. L’ensemble è formato da Chiara Cavallaro, Chiara Coco, Tecla Guzzardi, Ida Grasso, Lucia Nicolosi; il coro da tutti gli attori.

“Un viaggio è sempre un’esperienza formativa, sia esso un viaggio reale, sia esso un viaggio virtuale – spiega la regista – .L’esperienza umana e letteraria di Dante Alighieri è stata più volte ispirazione di “fatti” artistici teatrali, non solo per l’argomento trattato nella sua “Commedia”, ma soprattutto per le figure tratteggiate con la penna dei valori immortali dell’umanità. Abbiamo preso spunto dalla traduzione in siciliano di Tommaso Cannizzaro della Divina Commedia dantesca, non solo per “orgoglioso” piacere e vicinanza linguistica e geografica, ma per “i colori” che la lingua siciliana riesce a dare in ogni sua declinazione. In questo modo, il genio e l’arte del poeta fiorentino vengono assimilati e riproposti per un “nuovo” pubblico, che conosce già il testo in “volgare”e quindi potrà apprezzare la versione in siciliano, resa agibile e accessibile dalla messa in scena nei luoghi “d’oltre tomba”, che la Sicilia ha. Per questo il nostro spettacolo può, a buon diritto, essere rappresentato nella fucina di Efesto (gole dell’Alcantara, Etna), nella cattedrale di sale (sotto terra, a Realmonte), nel Cretto di Burri (a Gibellina), presso il lago di Proserpina (Pergusa, Enna), ovvero in luoghi di chiaro richiamo turistico (dal teatro di Segesta al bosco del santuario di San Martino le Scale), sicuri del fatto che il connubio tra paesaggio, costruzioni artistiche e arte scenica sia una grande proposta culturale, della quale la Sicilia non può esserne privata. La nostra operazione vuole discostarsi dalla mera “erudizione”, lasciando spazio al “divertimento” del sapere, all’apertura mentale, che è la base per la libertà, quella per la quale lotta il popolo siciliano, sin dai Vespri, come ricorda anche Dante nella sua Divina Commedia (Par. VIII, 73-75), e merita di avere”.

Il 5 e 6 agosto, alle 19.15, al Teatro Antico, andrà invece in scena Glauco, di Pirandello, con la regia di Walter Manfrè. Una prima nazionale con Andrea Tidona e Guja Jelo.

Glauco è una delle due opere che Luigi Pirandello tradusse in dialetto agrigentino. Un dialetto meraviglioso che diventa la lingua più adatta a raccontare il Mito di Glauco, eroe marinaro, e della pastorella Scilla. Una storia d’amore, di potere e di morte che il drammaturgo dannunziano Ercole Luigi Morselli aveva scritto in un italiano aulico e barocco. Qui diventa musica, commozione, ironia, poesia.

Glauco, pescatore povero in cerca di gloria e di ricchezza, innamorato e riamato dalla pastorella Scilla, con pochi compagni, parte all’avventura sperando di poter tornare carico d’oro per potere sposare il suo amore: solo se sarà ricco, infatti, il vecchio avaro Forchis, padre della fanciulla, gli concederà la mano di lei. Parte con la sua povera barca perché vuole mettere ai piedi di Scilla le ricchezze ed il benessere che avrà conquistato e che conquisterà.

Lei lo aspetta su quel lembo di mare dove le sirene incantano i marinai per poi ucciderli: lo stretto di Messina.

Glauco non tornerà in tempo per rivedere viva la sua Scilla perché la maga Circe, con i suoi incanti, lo tratterrà un attimo in più: quello sufficiente per farsi strappare dall’eroe il bacio che lo renderà immortale ma anche quello in cui Scilla, credendosi dimenticata ed abbandonata dal suo amore, deciderà di uccidersi lanciandosi da una rupe. Il dolore di Glauco sarà immenso ed eterno e solo si placherà quando il giovinetto pastore Musico, che vive su quelle sponde del Mediterraneo, deciderà di cantare la sua Storia affinché sia da esempio a tutti coloro che pensano di trovare una gloria effimera abbandonando gli affetti più puri.