Dovessimo contare i caduti per mafia in Sicilia, ci smarriremmo facilmente. Sono centinaia e con storie diverse, sempre drammatiche. Alcuni di loro sono stati del tutto o in gran parte dimenticati. Tra questi Alberto Giacomelli, un magistrato trapanese dai tanti pregi e dalla spiccata umanità.

E’ merito di Salvo Ognibene, giovane giornalista e scrittore dell’agrigentino, avere onorato la memoria di Giacomelli con un breve saggio pubblicato da Edb, Edizioni Dehoniane Bologna, a trent’anni dal suo omicidio verificatosi a Trapani il 14 settembre del 1988.

Il libro ha un titolo eloquente: “Un uomo perbene”, e un sottotitolo che spazza via ogni dubbio, purtroppo alimentato ad arte all’indomani del delitto, sulle cause della sua scomparsa: “Vita di Alberto Giacomelli giudice ucciso dalla mafia”.

Salvo Ognibene, alla sua terza monografia, conferma il suo impegno nel contrastare la mafia e nel diffondere la cultura e i valori della legalità. In questo libro Ognibene, da buon cronista, ricostruisce le vicende –oggi a moltissimi ignote – che condussero alla morte di un giudice da poco in pensione, ricorda i depistaggi, alcuni persino infamanti, che caratterizzarono le prime indagini giudiziarie, le sentenze di opposto contenuto che si succedettero.

All’inizio, infatti, quello di Alberto Giacomelli fu considerato un omicidio frutto della criminalità comune con motivazioni assai deboli riconducibili alla vita privata del magistrato –peraltro, a ben vedere, irreprensibile – e, in particolare, alla sua passione e ai suoi interessi di agricoltore. La svolta si registrò nel ’99, dopo più di dieci anni dal delitto, furono le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia a indicare la pista mafiosa, seguendo la quale si pervenne a un nuovo pronunciamento giudiziario che decretò la condanna, tuttora non passata in giudicato, di mafiosi agli ordini del boss dei boss, Totò Riina.

Quale la colpa di Alberto Giacomelli? Avere ordinato il sequestro di beni di Gaetano Riina, fratello del numero uno di Cosa Nostra, e di avere disposto nei suoi confronti la sorveglianza speciale per tre anni. Allora Giacomelli presiedeva la Sezione del Tribunale di Trapani competente nell’applicazione delle misure di prevenzione per i mafiosi, quelle misure di prevenzione introdotte qualche anno prima dalla legge Rognoni-La Torre.

Salvo Ognibene, con “Un uomo perbene”, non si limita a fare luce su un delitto rimasto per tanto tempo avvolto nel mistero; fa di più: consegna alla nostra memoria la figura di un magistrato che faceva il suo dovere senza clamori, con competenza ed equilibrio. E ci riesce soprattutto raccogliendo le testimonianze di chi lo conobbe bene e gli fu vicino.

Primo tra tutti il figlio, don Giuseppe Giacomelli, oggi sacerdote a Imola, che ricorda quando, lui ancora ragazzino, in compagnia del padre, visitava il carcere di Trapani detto ‹‹Colombaia›› e s’intratteneva con i detenuti scoprendone la sofferenza e l’umanità. Già, perché il giudice Giacomelli credeva profondamente nella giustizia e nel valore rieducativo, costituzionalmente rilevante, della pena.

Assai significative anche le testimonianze di alcuni colleghi magistrati, che mettono in risalto la saggezza di un giudice sempre lontano dalle ribalte mediatiche, capace di coniugare rigore e pietas, competenza e coscienza; un giudice che, quando vigeva la pena capitale, si rifiutò di applicarla consapevole di violare, qualora l’avesse emessa, una regola contraria alla kantiana legge morale.

Come pure degni di nota si rivelano i ricordi del presidente dell’Ordine degli avvocati di Trapani: Giacomelli faceva propria la lezione di Calamandrei, autore tra l’altro del saggio Elogio dei giudici scritto da un avvocato, che richiama lo spirito di collaborazione tra gli attori principali delle aule giudiziarie, e quello del suo autista, che sottolinea la semplicità e la generosa disponibilità di un uomo di straordinaria sensibilità.

Il libro -da consigliare soprattutto a chi si accinge a vestire la toga e ad esercitare il difficilissimo mestiere di giudicare gli uomini- si avvale della prefazione di Attilio Bolzoni. Bolzoni ci fa respirare il clima greve di quel 1988 foriero di tragici eventi ed efficacemente definisce quello di Giacomelli ‹‹ un delitto “senza”. Senza clamore. Senza assassini (mai trovati), senza movente per lungo tempo, senza lapidi e celebrazioni per ricordare l’uomo, un delitto senza niente e senza tutto››.