Condannato per mafia ed estorsione Michele Scandariato, 54 anni, uomo di spicco del mandamento di Vita, nel trapanese. E’ tornato in carcere dopo la condanna stabilita dalla corte d’appello, dovrà scontare una pena residua di 9 anni, 11 mesi e 29 giorni di reclusione. I carabinieri del nucleo investigativo di Trapani, coadiuvati da personale della stazione di Vita, lo hanno prelevato da casa e condotto dietro le sbarre.
Le accuse
L’uomo è stato condannato per associazione di tipo mafioso, estorsione e rapina in concorso. Il provvedimento trae origine nell’ambito dell’operazione “Pionica”, eseguita il 13 marzo 2018 dai carabinieri del nucleo investigativo di Trapani e del Ros, il raggruppamento operativo speciale, nonché da personale della Dia, la direzione investigativa antimafia. Scandariato venne arrestato dai carabinieri in quanto destinatario di una ordinanza di misura cautelare in carcere insieme ad altre 11 persone considerate esponenti e gregari delle famiglie mafiose di Vita e Salemi.
Il ruolo di Scandariato
In particolare, secondo quanto emerso nel corso dell’azione investigativa condotta dai militari dell’Arma, il 54enne avrebbe messo a disposizione della consorteria mafiosa le proprie competenze e l’attrezzatura necessaria per effettuare un’estesa attività di bonifica di autovetture e locali, mantenuto un costante collegamento con gli altri associati attraverso il continuo scambio di comunicazioni, partecipato ad incontri finalizzati a trattare questioni di interesse dell’associazione mafiosa, tra cui le richieste estorsive.
Le indagini
L’operazione “Pionica” prende il nome da una contrada di Santa Ninfa dove c’è un’azienda di 60 ettari appartenuta a Giuseppa Salvo, di Salemi. Secondo l’accusa, Michele Gucciardi e Melchiorre Leone, 61 anni, agronomo di Vita, già condannato in abbreviato a 9 anni e 4 mesi, avrebbero prima scoraggiato i possibili acquirenti dell’azienda; ma in seguito l’alcamese Roberto Nicastri, fratello del “re dell’eolico”, dopo averla comprata all’asta per 130 mila euro per rivenderla a 530 mila euro alla “Vieffe” dei palermitani Vivirito e Ficarotta, ha preteso per questi ultimi i diritti di reimpianto dei vigneti. I cosiddetti “catastini”, che la Salvo, parte civile nel processo, sostiene che avrebbe potuto vendere e con il ricavato pagare i debiti dell’azienda e mantenere la proprietà dei terreni. Grazie a quei “catastini” la “Vieffe” ottenne due finanziamenti comunitari: uno di 420 mila e l’altro di 120 mila euro.
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