Maurizio Zoppi
Scrivo, parlo, respiro... ma non sempre in quest’ordine
I fischi al sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, per Santa Rosalia non sono solo fischi: sono crepe. Crepe nel muro di ipocrisia che da decenni tiene insieme Palermo, la sua facciata barocca e il suo cuore in decomposizione. In una città dove si prendono a botte i turisti perché “vanno derubati”, dove si chiede mezzo stipendio per un giro in carrozza, tirata da cavalli, a quanto pare sfruttati fino allo sfinimento; dove quattro famiglie – si dice – gestiscono un business di cartapesta fatto di minacce, abusi e corse illegali, cosa c’è da celebrare? Santa Rosalia ci ha salvati dalla peste. Ma chi ci salva dall’arretratezza, dall’arroganza, dalla brutalità normalizzata? Perché è questo il vero virus: l’abitudine al degrado. L’orgoglio storto per pratiche medievali. Il ricatto morale del “è folclore” che diventa copertura per la bruttezza. Il silenzio diventa la complicità a tutto questo, il consenso concesso per quieto vivere o per non disturbare. Palermo non ha bisogno di fuochi d’artificio né di santi da sventolare. Ha bisogno di dignità, di regole, di decenza. Di una rivoluzione culturale, non di processioni dove chi grida “viva Palermo e Santa Rosalia” ha appena minacciato un passante con un frustino.
Chi ha fischiato il sindaco, forse, ha solo colto l’occasione per dare voce al proprio disagio. Ma quel disagio è lo stesso che si respira in certe carrozze puzzolenti, in certe strade dove il codice d’onore conta più del codice della strada, nei vicoli dove si spaccia e si benedice tutto insieme. Fischi meritati? Non ne ho idea. Ma rivolti nella direzione sbagliata. Perché il problema non è sempre e solo di chi amministra: è chi accetta tutto questo come se fosse normale e non fa nulla per cambiare le cose. Di chi è disinteressato a tutto tranne che ai suoi selfie. Palermo non è solo questa. Ma è anche questa. Soprattutto. Per sfortuna. Mentre santa Rosalia piange.
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