Antonio Perna

Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet

Tutti i post

Ci sono parole che pesano come fucilate e altre che carezzano come parabole di Platone. Sergio Mattarella, uomo sobrio e di retorica repubblicana — nel senso più alto, s’intende — ha parlato alle Azzurre della Nazionale con un garbo che non è piaggeria, ma riconoscimento autentico. E non poteva essere altrimenti.

Le ha ringraziate — e lo ha fatto con voce ferma, persino un po’ commossa — per aver “reso onore alla maglia e alla bandiera del vostro Paese”. 

Parole che, in bocca ad altri, rischierebbero l’enfasi trombonesca. Ma il Quirinale non ha sbandierato enfasi: ha preso la palla, l’ha messa a terra e ha giocato di prima.

Azzurre come Spartane

Queste ragazze — che oserei chiamare Spartane senza tema di offendere la grazia — hanno tenuto testa alle leonesse inglesi e con la Storia a pesare come uno stadio sulle spalle. E sono crollate solo a 60 secondi dalla fine. Sessanta secondi, che nel calcio sono una condanna o una grazia: ma anche lì, si muore solo se si è vivi, e loro vive lo sono eccome.

Che bellezza vederle rincorrere la sfera come fosse un’idea, non solo un oggetto. La palla, per loro, è diventata il mezzo per dire che anche nel calcio le donne non chiedono permessi: entrano, si prendono lo spazio, lo dominano.

Lo sport come avanguardia sociale

Mattarella — che è uomo di lettere e di Costituzione, ma anche di partite viste in piedi nei salotti — ha colto il punto con la lucidità che fu di Cavour in politica e di Liedholm in area di rigore: “Lo sport è un’avanguardia”. Lo è sempre stato. E le Azzurre lo sono, loro malgrado ma anche loro merito.

Perché il pallone non è mai stato neutro: è stato sociale, sessuato, simbolico. Vederle portarlo avanti, con stile e forza, è come vedere l’Italia che vorremmo: senza più ruoli imposti, senza paternalismi da bar Sport.

La partita oltre il campo

Il Presidente ha detto che le ragazze hanno dato “un contributo particolarmente importante alla vita del nostro Paese, per renderlo più giusto e consapevole”. 

Qui Mattarella ha usato parole da mezzala classica: sembrano semplici, ma portano dentro visione, fatica e poesia.

Perché in fondo, ciò che commuove in queste ragazze non è solo la partita che hanno perso — per un soffio, per un colpo di vento, per la maledizione delle partite belle che finiscono male — ma quella che stanno giocando ancora adesso, nei campi di provincia, nei centri sportivi dove la parità è ancora un miraggio e il pregiudizio fa pressing a tutto campo.

Conclusione in contropiede

Direi che il loro Europeo è stato uno sberleffo garbato a chi ancora crede che il calcio sia cosa da maschi. Direi che hanno onorato la maglia più di tanti mercenari stipendiati in euro e stenti.

E direi che Mattarella ha parlato come il miglior allenatore della Repubblica: ha letto la partita e ha dato il premio più difficile da conquistare — quello della dignità riconosciuta.

Avanti, Azzurre: il calcio non è mai stato solo un gioco. Ma voi l’avete fatto tornare una lotta nobile. E questa è la vera vittoria.

Questo contenuto è stato disposto da un utente della community di BlogSicilia, collaboratore, ufficio stampa, giornalista, editor o lettore del nostro giornale. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore. Se hai richieste di approfondimento o di rettifica ed ogni altra osservazione su questo contenuto non esitare a contattare la redazione o il nostro community manager.