Antonio Perna

Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet

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Trump e Putin stringono un patto che non nasce dall’amicizia, ma dal calcolo. La Cina è l’obiettivo finale. L’Europa, se non reagisce, rischia di diventare una provincia marginale in un mondo ridisegnato da altri.

Hegel scriveva che la storia è “il cammino della libertà attraverso la necessità”. Oggi quella necessità si chiama geopolitica, e la libertà si chiama coraggio. Non basta evocarla: occorre praticarla.


Trump e la Russia: la supinità come strategia

Donald Trump non è mai stato un uomo di sfumature. La sua politica estera si muove con la stessa logica del mercato immobiliare: comprare, vendere, scambiare. Ciò che a molti appare come un atteggiamento servile nei confronti di Vladimir Putin — il sorriso deferente, la parola indulgente, la domanda mai scomoda — è in realtà una forma di supinità strategica.

Trump non sogna un’America riconciliata con la Russia per amore dell’equilibrio internazionale. La sogna per piegare il Cremlino a un obiettivo più alto: rompere l’asse tra Mosca e Pechino. È disposto a concedere a Putin lo spazio politico e simbolico che desidera — il riconoscimento di un impero restaurato, perfino l’abbandono implicito dell’Ucraina — purché il leader russo si distacchi dall’abbraccio di Xi Jinping.

Qui si rivela la brutalità del disegno: non esistono diritti, popoli, nazioni. Esiste la transazione. La supinità di Trump non è viltà, ma calcolo: se Putin può essere l’alleato utile a contenere la Cina, allora ogni concessione diventa possibile.


La Cina: il vero bersaglio

È la Cina il convitato di pietra di questa vicenda. Non la Russia, che pure minaccia l’Europa e destabilizza il mondo con la guerra in Ucraina. L’ossessione di Trump è Pechino.


Da decenni l’America guarda alla Cina come alla potenza destinata a scalzarla dal primato mondiale. Con le sue dimensioni demografiche, la sua capacità tecnologica, la sua forza economica, Pechino è l’unico vero rivale sistemico di Washington. Per questo, la strategia di Trump consiste nell’isolarla. Non diversamente da quanto Nixon e Kissinger fecero nel 1972, aprendo alla Cina per isolare l’Unione Sovietica. Ma oggi il disegno si rovescia: occorre avvicinare Mosca per contenere Pechino.

È la logica di Tucidide, che nella sua opera immortale mostra come la paura reciproca generi guerre inevitabili. Ed è la logica di Machiavelli, per il quale i principi si servono di ogni alleanza transitoria pur di mantenere il potere.

Trump è il Machiavelli rovesciato della geopolitica: privo di visione etica, guidato soltanto dal principio del vantaggio immediato, ma pur sempre ancorato alla ferrea legge dell’equilibrio tra potenze.


L’Europa e il futuro multipolare

E l’Europa? È qui che la tragedia rischia di diventare irrilevanza. Il Vecchio Continente, che da due secoli pretende di essere portatore di valori universali, appare oggi come un attore esitante, incapace di scegliere una strada autonoma.

Se Trump stringe un patto di ferro con Putin, l’Europa non può che trovarsi schiacciata. L’alleanza atlantica si trasformerebbe in un vincolo di subordinazione, mentre la guerra in Ucraina perderebbe centralità nella visione americana. A quel punto, all’Europa non resterebbe che reinventarsi.

La via è una sola: guardare ad Oriente e a Sud. Non per rinnegare i legami storici con gli Stati Uniti, ma per costruire una nuova geometria. Cina e India, con tutto il loro peso, rappresentano poli inevitabili di un mondo multipolare. E il Sud America, con le sue risorse e la sua giovinezza, è il continente che può offrire all’Europa un respiro diverso, meno angusto della dipendenza da Washington.

È un compito immane, che richiede visione, coraggio e filosofia politica. L’Europa deve capire che non esiste neutralità: o diventa soggetto, o sarà oggetto. O agisce, o verrà agita.

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