Giusi Patti Holmes
Sono Giusi Patti Holmes, giornalista, scrittrice e, soprattutto, un affollato condominio di donne, bizzarre e diversissime tra loro, che mi coabitano. Il mio motto è: "Amunì, seguitemi".
Oggi voglio farvi conoscere una poetessa di San Piero Patti, nata da un’agiata famiglia nel 1915. Il suo nome è Helle Busacca che, vissuta in Sicilia fino ai 7 anni, si trasferisce a Bergamo e, poi, a Milano dove prenderà la laurea in Lettere Classiche presso la Regia Università, dedicandosi all’insegnamento e, soprattutto, alla poesia.
Una vita con grandi dolori
La sua vita sarà segnata, sin da molto giovane, da tragici eventi, come la morte della madre, l’abbandono del padre, per sposare una donna molto più giovane, e il suicidio dell’amato fratello Aldo nell’estate 1965, a cui dedicherà la sua opera più celebre e dolorosa, “I Quanti del Suicidio “, che la consacra come l’Antigone dei tempi moderni. In questa opera fa sentire la voce straziata, quasi un urlo strozzato in gola, di chi ha subito un danno, ma sa, anche, di poter sopravvivere.
Helle prima e dopo il suicidio di Aldo
C’è una Helle prima e una Helle dopo la morte del fratello, che scende negli abissi infernali dell’esistenza e solo grazie ai suoi versi, elaboratori e laboratori del lutto, riuscirà a risalire. Un destino dai colori plumbei, il suo, che, forse, con un amore al fianco, avrebbe virato verso tonalità color pastello.
«Ed io non posso maledire morte/ se tu l’hai scelta/ e, pur dubbiosa, in lei soltanto guardo/ se mi ti renda in qualche modo. Tanto/ scialbo e infantile il mio sogno di allora, / poter partire sull’eterea nave/ che ci traesse sulle nebulose/ cercando…».
Il bel volto di Helle
Il suo bel volto, dai lineamenti classici, tradisce il mal di vivere e un amaro torcicollo sentimentale che la fa guardare, malinconicamente, sempre all’indietro, a ciò che era e non sarà più. Helle, che è ultra moderna e, allo stesso tempo, legata al sapore senza tempo della sua Sicilia, con le sue rime, graffia e accarezza i cuori.
All’apparenza donna irraggiungibile, con una bellezza altera e da cinematografo, era abitata da una tenerissima umanità che Montale, nel 1956, incastonò in una delle sue prose di Farfalla di Dinard, dal titolo «La busacca» dove, con raffinata ironia, la rende misterioso uccello, unico nella sua specie, che non si lascia predare.
«Un rapace più grosso del falco e meno dell’aquila provvisto di solide ali non tanto grandi da consentirgli di spiccare il volo da terra… un demone imprendibile, tardigrado e scaltro, coriaceo e a prova di pallettoni». Dirà Montale: “Con il suo battere d’ali, la Busacca smuoveva le acque stagnanti dei laghi“.
Tra il 1965 e il 1970
Nel giro di due mesi, nel luglio del ‘65 a Milano e nell’agosto del ’70 a Creta, si compone il canzoniere del dolore “La Trilogia dei quanti” che vede ne «I quanti del suicidio”, la raccolta poetica più intensa, seguita da «I quanti del karma» e «Niente poesia da Babele», formato da ben 149 componimenti lunghi che sono un viaggio di struggente bellezza.
Memoriale sulle tracce del fratello
Il volume è una sorta di memoriale sulle tracce del fratello, vittima sacrificale di un sistema violento, quello accademico e lavorativo, in cui la sopravvivenza si lega alla furbizia e al sopruso e dove gli ingenui sono falciati come l’erba:
«Non si può essere buoni/ questo vocabolo da teatrino/ di sagrestia di paese/ la furia sola è che resta/ poter scardinare le porte/ di quelli che scialano fra i carrelli grevi». Le chiederanno: «Aldo? com’era?» e lei risponderà: «Era l’Uomo. E l’Uomo era meraviglioso. / Quando lui c’era c’era anche Dio».
Come lo accolse la critica?
La critica accolse il volume in modo entusiasta: Anceschi accostò la Busacca a Pound e a Eliot; Carlo Bo individuò nei suoi versi «contestatari violenti, pieni di vivide immagini», la capacità di sollevare «i più vivi e reali problemi della vita odierna in tutta la loro pungente acutezza».
Nel 1972, Helle fece stampare “I quanti del suicidio” presso una tipografia romana. La scelta dell’autopubblicazione si legava alla sua ferrea volontà di non finire nel «sottobosco editoriale» e di non svendere un’opera sentita come propria, che doveva lasciare traccia. Un grande talento, il suo, plaudito anche da Mario Luzi e Vittorio Sereni, per citarne alcuni, che ne apprezzarono l’originalità e la incisività, frutto della testimonianza di un dramma personale e di un destino tragico. Le sue variazioni di registro, che muovono dalla cruda violenza verbale a vette di astratto e pacato lirismo, a tratti appaiono un “messaggio verso le stelle”.
Il Fondo Helle Busacca
Il Fondo Helle Busacca, depositato presso l’Archivio di Stato di Firenze nell’estate del 1999, è stato sottoposto a inventariazione e sistemazione a partire dal 2000. Nel 2005, con l’ampliamento della documentazione preesistente, grazie alle donazioni Pellegrini, Barbantini e Luzi, si è reso necessario il riordinamento del materiale a cura di Maria Giovanna De Simone. Le sue carte contengono corrispondenza, bozze e prime stesure di opere pubblicate, nonché numerosi manoscritti inediti che ne rivelano il mondo.
Nel dicembre 2015, in occasione di un convegno sul centenario della nascita, San Piero Patti ha omaggiato questa sua grande figlia, intitolandole la Biblioteca Comunale e, con una targa, il Largo, posto tra l’Istituto comprensivo sampietrino e la Villa Falcone Borsellino.
Helle Busacca morì a Firenze il 15 gennaio del 1996. Qualche anno prima aveva donato tutti i suoi libri alla Biblioteca di San Piero Patti e alla comunità che l’aveva vista bambina.
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