Maurizio Zoppi
Scrivo, parlo, respiro... ma non sempre in quest’ordine
Ciò che scrivo è frutto di una continua e costante informazione sul temo e di numerose testimonianze di padri che vorrebbero solo fare i padri, ma non gli è permesso farlo:
Non è una guerra tra uomini e donne. È una resa della giustizia.
Il problema non è il femminismo in generale, né tantomeno le donne.
Il problema è quando una corrente ideologica radicale si infiltra nel diritto di famiglia e lo piega, trasformando la tutela in privilegio e l’equità in sospetto.
Oggi in Italia la legge racconta una favola: affido condiviso, pari dignità genitoriale, interesse superiore del minore.
La pratica, invece, è spesso un’altra storia:
madre genitore “naturale”, padre comprimario con obbligo di firma sul bonifico.
Non perché le madri siano cattive.
Ma perché il sistema parte da un pregiudizio culturale: la donna accudisce, l’uomo paga.
Un pregiudizio vecchio, ma improvvisamente sacralizzato.
Il femminismo radicale – quello che non cerca parità ma compensazione punitiva – ha trovato terreno fertile:
se l’uomo è “storicamente colpevole”, allora può essere legittimamente ridimensionato, sospettato, escluso.
Anche quando fa il padre. Soprattutto quando chiede equilibrio. Così la tutela diventa arma. Il conflitto diventa rendita.
I figli diventano territorio conteso. E guai a dirlo: chi solleva il problema viene etichettato come nostalgico del patriarcato, quando spesso chiede solo regole chiare, tempi certi e responsabilità condivise. La famiglia non è crollata perché le donne hanno ottenuto diritti.
È crollata perché la giustizia non è stata capace di aggiornarsi, preferendo scorciatoie ideologiche a soluzioni concrete. Difendere la bigenitorialità reale, contrastare gli abusi, tutelare davvero i minori non è antifemminismo.
È civiltà giuridica. Il resto è rumore.
E il rumore, come sempre, lo pagano i più piccoli.
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