Sarebbero riusciti a riciclare grosse somme di denaro dei clan mafiosi palermitani grazie a imprenditori compiacenti ed esperti della finanza. Undici persone sono state arrestate – sei in carcere a 5 ai domiciliari – al termine di un’inchiesta della Dda di Palermo e dei carabinieri di Trapani, che ha portato anche a 12 avvisi di garanzia ed ha riguardato personaggi storici della mafia di Salemi, fedeli alleati del boss Matteo Messina Denaro. Gli indagati rispondono a vario titolo di mafia, riciclaggio, turbativa d’asta, trasferimenti fraudolento di valori e ricettazione.

L’operazione di riciclaggio

Un’operazione di riciclaggio condotta grazie a imprenditori compiacenti ed esperti di Finanza. Per aggirare la normativa antimafia gli uomini delle famiglie mafiose fedeli al superboss si avvalevano di due imprenditori palermitani che facevano da prestanome. A loro erano intestati i supermercati in cui finivano i soldi della criminalità.

Lo hanno scoperto i Carabinieri di Palermo e Trapani nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. L’indagine è partita dalle tracce lasciate dai soldi del boss latitante Matteo Messina Denaro. A gestire questi affari era la famiglia mafiosa di Salemi. Adesso 5 persone sono finite in carcere, altre 6 agli arresti domiciliari ed ulteriori 12 hanno ricevuto avvisi di garanzia. Gli arresti sono scattati non solo a Palermo e Trapani ma anche a Como.

Il tentativo di rilevare i supermercati non concretizzatosi

L’indagine ha consentito di acquisire gravi indizi circa la convergenza di illeciti interessi di appartenenti alla famiglia mafiosa di Salemi consistiti nella attribuzione fittizia a due imprenditori palermitani della titolarità esclusiva di quote di una società di capitali appositamente costituita per eludere l’applicazione della normativa di prevenzione patrimoniale ed agevolare l’impiego di denaro provento del delitto di associazione mafiosa nell’acquisizione di numerosi supermercati di una nota società della grande distribuzione italiana nelle provincie della Sicilia occidentale. L’acquisizione non si concretizzava per diverse scelte aziendali da parte della società.

Secondo l’accusa la gara d’appalto per la gestione della rete elettrica di Favignana era stata pilotata per consegnare il servizio alle cosche che chiedevano il pizzo anche agli imprenditori che rifornivano la centrale elettrica di carburanti.
Per tutti le accuse sono di associazione mafiosa, corruzione, turbativa d’asta, trasferimento fraudolento di valori, ricettazione e autoriciclaggio. Ma l’inchiesta continua sulle tracce dei funzionari pubblici collusi o corrotti

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