Colpo ai clan mafiosi agrigentini. Il gup di Palermo Paolo Magro ha condannato a pene comprese tra 10 mesi e 20 anni mafiosi e professionisti agrigentini accusati a vario titolo di associazione mafiosa.
Condannati anche un poliziotto e un agente penitenziario che rispondevano, rispettivamente, di accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio.
Il processo, celebrato in abbreviato, nasce da una indagine della Dda, coordinata dall”aggiunto Paolo Guido, sui clan della provincia di Agrigento che coinvolse anche l’avvocato Angela Porcello, oggi condannata per mafia a 15 anni e 4 mesi. Quattro gli assolti.
I condannati
Il gup ha inflitto al capomafia Giuseppe Sicilia 18 anni e 4 mesi, ai boss Luigi Boncori e Calogero di Caro 20 anni, a Giancarlo Buggea, compagno della Porcello, 20 anni, a Simone Castello – in passato ritenuto il “postino” del capomafia Bernardo Provenzano – 12 anni, a Diego Cigna, esponente della stidda 10 anni e sei mesi.
A Gregorio Lombardo 17 anni, a Calogero Paceco 8 anni, a Giuseppe Giuliana 8 anni. Il poliziotto di Canicattì Giuseppe D’Andrea ha avuto, per accesso abusivo al sistema informatico, 3 anni e 4 mesi, la collaboratrice della Porcello, l’avvocata Annalisa Lentini un anno e 4 mesi per falso materiale in concorso con Vincenzo Di Caro che ha avuto un anno.
Per rivelazione di segreto professionale ha avuto 10 mesi Giuseppe Grassadonia, un agente penitenziario che aveva comunicato ai familiari di un detenuto il suo spostamento. A Gaetano Lombardo sono stati inflitti per favoreggiamento 3 anni e 4 mesi.
Gli assolti
Gli assolti sono: Luigi Carmina, Antonino Oliveri, Giovanni Nobile, Gianfranco Gaetani.
La ricostruzione della pubblica accusa
Secondo quanto ricostruito dai pubblici ministeri per due anni, nell’ufficio della penalista si sarebbero tenuti summit tra i vertici delle cosche agrigentine.
Rassicurati dall’avvocato, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, Simone Castello, ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano e il nuovo capo della Stidda, l’ergastolano Antonio Gallea, a cui i magistrati avevano concesso la semilibertà, si ritrovavano nello studio della Porcello per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra. Le centinaia di ore di intercettazione disposte nello studio penale dopo che, nel corso dell’inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne, di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni.
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