“Il giubbotto con le tracce di sangue di Angelo Carità? Non è mio, me l’hanno regalato alla Caritas”. Il sessantunenne Orazio Rosario Cavallaro, originario di Catania ma residente a Ravanusa (Ag), ha provato a difendersi così davanti al gip del tribunale di Agrigento, Alessandra Vella, che nelle prossime ore dovrà decidere se convalidare il fermo, disposto dalla Procura secondo cui è stato lui a uccidere a colpi di pistola un bracciante agricolo il giorno di Pasquetta. La vittima, il sessantunenne Angelo Carità, il 2 aprile scorso, è stata freddata con due colpi di pistola calibro 9 a Licata (Ag). Un’auto di proprietà dei familiari di Cavallaro, che non ne possiede e non potrebbe guidare perché sorvegliato speciale, è stata ripresa dalle telecamere a circuito chiuso di alcuni negozi.
La prova schiacciante sarebbe il ritrovamento, nel corso di una perquisizione, due mesi più tardi, di un giubbotto che, sebbene lavato con candeggina, ha mantenuto una traccia di sangue della vittima rilevata dal Ris. Cavallaro, assistito dal suo difensore: l’avvocato Antonino Casalicchio, ha giustificato – sempre durante l’interrogatorio – anche la sua presenza a Licata, dicendo di essere stato lì in giro con l’auto. Cavallaro, secondo il procuratore aggiunto Salvatore Vella, presente all’interrogatorio, sarebbe stato l’esecutore materiale dell’omicidio che gli sarebbe stato “commissionato”. Il mandante è rimasto ignoto.