Vi è però un altro aspetto da chiarire: la tipologia della pena inflitta dalla Chiesa. Quale deve essere il legame con le pene canoniche da infliggere al mafioso?
Qui il discorso è più complesso ed è proprio quello di cui si è discusso nel convegno di cui sopra. Intanto esistono le scomuniche inflitte ai mafiosi dalla Conferenze Episcopali Regionali. Quella Siciliana che lo ha fatto nel 1982, confermando le precedenti scomuniche ne individua esplicitamente la matrice mafiosa, e precisando che a «tutte le manifestazioni di violenza criminale e quindi anche quelle di stampo mafioso così come vengono oggi perpetrate […] si applicano le norme sancite dai vescovi siciliani, sia nel 1944 che nel concilio plenario siculo». Poi c’è stata anche quella della Conferenza calabrese. E poi quella ormai famosa lanciata da papa Francesco nella piana di Sibari il 21 giugno del 2014, che mette nello stesso atto di condanna sia la ’ndrangheta che la mafia, la camorra, la sacra corona unita, ecc. però bisogna spiegare una cosa.
Che cosa?
Che la scomunica non riguarda singoli territori e singole Conferenze Episcopali?. C’è ormai la necessità di una legge penale emanata in forma scritta e promulgata dalla competente autorità munita di potestà legislativa, ove è determinata la fattispecie delittuosa, il tipo di pena, l’autorità che la può irrogare e rimettere. Altrimenti potrebbe accadere che un delitto di stampo mafioso nelle Diocesi della Sicilia, della Calabria o della Campania venga punito con la scomunica, mentre se commesso altrove no.
Torniamo alla corruzione. Cosa occorre fare?
Il primo e più decisivo impegno riguarda la comunità cristiana; ci vogliono comportamenti che portino ad una prevenzione dei reati collegati col fenomeno mafioso e alla diffusione di una cultura della legalità; tutto ciò richiede un rinnovato impegno educativo che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti. Ci vuole la collaborazione di tutti, ma in modo particolare della famiglia, della scuola, delle associazioni giovanili, dei mezzi di comunicazione sociale, dei vari movimenti che nel Paese hanno un potere di aggregazione e un compito educativo, sindacati, organizzazioni di categoria, ordini professionali, partiti e istituzioni pubbliche.
E più in concreto?
E’ necessaria una mobilitazione delle coscienze che, insieme ad un’efficace azione istituzionale e ad un ordinato sviluppo economico, possa frenare e ridurre il fenomeno criminoso. Il senso della legalità non è un valore che si improvvisa. Esso esige un lungo e costante processo educativo.
E la Chiesa?
Anch’essa è impegnata in quest’opera formativa: le parrocchie attraverso la catechesi e le molteplici iniziative culturali, formative e caritative; l’insegnamento di religione; l’associazionismo; il volontariato. Ci vuole uno sforzo comune perché ogni energia è preziosa e insostituibile. Bisogna lavorare per eliminare le cause che generano le molte povertà materiali e spirituali delle quali l’uomo di oggi soffre.
Si, ma la società sembra andare in un’altra direzione.
Forse può apparire che la socialità, intesa come apertura della coscienza e della volontà al bene comune, sia seriamente minacciata dall’individualismo, dal corporativismo, da una visione grettamente o sottilmente improntata a utilitarismo. Però non siamo agli inizi, come dimostrano i tanti documenti e le tante affermazioni che ho citato e che si potrebbero citare. C’è forse da fare un salto di qualità che il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale si è impegnato a intraprendere e che deve far giungere il diritto canonico ad una definizione del fenomeno, sia mafioso che corruttivo, più preciso, sia a pene più chiare. Ma non si deve perdere di vista l’obiettivo primario: la possibile conversione del soggetto in questione. Questo è ciò che sta a cuore alla Chiesa, non esprimere condanne senza appello.
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