Sono 578 i migranti giunti, a partire dalla mezzanotte, a Lampedusa in seguito ad una serie infinita di sbarchi. A soccorrere 13 dei 15 barchini arrivati sono state le motovedette della capitaneria di porto e della guardia di finanza. Due gli approdi direttamente sulla terraferma: 4 tunisini sono giunti, alle 2,40, al molo commerciale e sono stati bloccati dalla polizia; altri 16 sono stati rintracciati invece, alle 6,20, alle in via Roma, davanti la caserma dei carabinieri. Questi ultimi sostengono d’essere stati trasbordati sulla costa da un peschereccio libico che ha poi ripreso il largo. Ieri, sull’isola, ci sono stati 14 sbarchi quattro dei quali a Cala Palme, Cala Croce, Cala Galera e molo Madonnina, con un totale di 435 persone. Nell’arco di 36 ore sono quindi giunti 1.013 migranti, la maggior parte dei quali sostiene di essere salpato da Kerkenna, Sfax, Gabes e Tebulba in Tunisia. Solo un paio di gruppi hanno parlato di Zuwara, in Libia, quale porto di partenza. Tutti sono stati portati all’hotpost di contrada Imbriacola.

Ora 1.500 ospiti in hotspot, 600 pronti a partire

Sono 1.458 i migranti ospiti dell’hotspot di Lampedusa. La prefettura di Agrigento e la polizia hanno cercato, negli ultimi giorni, di alleggerire le presenze perché si era consapevoli del fatto che non appena le condizioni del mare sarebbero migliorate, le traversate sarebbero riprese in maniera massiccia. Oggi, con i traghetti di linea della mattina e della sera per Porto Empedocle, saranno complessivamente 600 i migranti (400 sulla nave Galaxy della mattina e il resto sulla Cossyra) che lasceranno l’isola. Ieri erano stati trasferiti invece 1.100 degli ospiti della struttura di primissima accoglienza.

Questura Agrigento: “Hotspot non è al collasso”

“Siamo stanchi e stufi di sentire e leggere hotspot di Lampedusa al collasso. Grazie all’impegno organizzativo di questura e prefettura l’hotspot, gestito dalla Croce Rossa italiana, non è in sofferenza. E’ pieno, ma ordinato. La Croce Rossa riesce a governare tranquillamente la situazione, mentre la polizia sta effettuando le operazioni di identificazione e fotosegnalamento con ritmi altissimi e con ordine esaurendo gli oltre mille arrivi al giorno”. Lo scrivono, cercando di fare chiarezza su quelle che sono le reali condizioni della struttura di contrada Imbriacola di Lampedusa, dalla questura di Agrigento. I ritmi altissimi di pre-identificazione della polizia, che ha fatto segnare dei record rispetto al passato, consentono, grazie al pieno coordinamento con la prefettura di Agrigento, il trasferimento di un migliaio di persone al giorno. Ieri sono stati 1.100 i migranti spostati da Lampedusa e oggi saranno almeno 600, dicono i poliziotti.

“Ingressi legali unica alternativa a racket”

“La morte accertata in mare di 1.800 persone in meno di 8 mesi, 160 negli ultimi 4 giorni, nella fossa comune che è da decenni il Mediterraneo – scrivono in una nota il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo e Stefano Galieni, responsabile Immigrazione del partito -, è l’ennesimo risultato di una guerra in corso scatenata dall’Ue contro i migranti. Pur condividendo la proposta lanciata dalla segretaria del Pd Elly Schlein, di una missione europea congiunta di salvataggio garantito, una nuova Mare Nostrum, non solo italiana ma continentale, la riteniamo insufficiente”.

“Certo ogni vita salvata è un piccolo grande risultato ma cosa fare per fermare lo stillicidio che avviene tanto in mare quanto nei deserti libici, algerini e tunisini? – continuano -. Intanto vanno abrogati accordi e memorandum con i Paesi di transito che non garantiscono i più elementari diritti. Poi vanno realizzati canali di ingresso sicuri per chi vuole o è costretto ad entrare in Europa, per sfuggire a guerre, dittature, povertà ed effetti dei cambiamenti climatici”.

La bacchetta alla commissione Europea

“Questa – sottolineano ancora Acerbo e Galieni – dovrebbe essere l’ossatura di un vero patto europeo per immigrazione e asilo, non la riproposizione di ricette proibizioniste come quella della Commissione europea, che confidano nei rimpatri, nell’esternalizzazione delle frontiere, nel far svolgere il ‘lavoro sporco’ ai governi dei Paesi che si affacciano sulla sponda Sud del Mediterraneo. L’emergenza non si chiama immigrazione, l’emergenza vera e strutturale è nelle condizioni economiche, politiche e sociali che si vivono nei Paesi di provenienza sempre più oppressi da politiche neo coloniali di cui vediamo oggi gli effetti nel Sahel. Basta ipocrisie. Il salvataggio è un dovere nell’immediato, il pensare a soluzioni sistemiche e con una strategia che impegni l’intera Ue è un dovere storico, politico e non solo umanitario. Scelte scomode forse, nell’imminenza delle elezioni europee – osservano Acerbo e Galieni – ma scelte urgenti che se non vengono fatte non danneggiano solo chi prova a partire, ma gli stessi paesi di destinazione”.

“Chi è realmente democratico e di sinistra, non antepone la difesa dei confini alla libertà di movimento e non può nemmeno cavarsela con il tentativo nobile, ma non risolutivo, di garantire il maggior numero di salvataggi. Quello che deve cambiare – dichiarano ancora nella nota – è la politica nel Mediterraneo e verso il continente africano. Un tempo l’Italia aveva un’altra visione del proprio ruolo. Da troppi anni ha abdicato a tale opportunità e ora si deve agire in maniera radicalmente alternativa. Gli ingressi legali, per ricerca lavoro, sono l’unica vera alternativa ai racket dei trafficanti e a quelli speculari, di chi trae profitti dai sistemi di sicurezza e dalla vendita di armi a Paesi privi di democrazia reale. Svuotare gli arsenali, aprire i porti, abbattere i muri”.

Naufraghi, vivi perché in barca c’erano acqua e biscotti

“Siamo riusciti a sopravvivere perché nella barca alla deriva che abbiamo trovato c’erano quattro bottiglie d’acqua e mezza scatola di biscotti”. I quattro naufraghi, tre uomini e una donna originari di Costa d’Avorio e Guinea Konakry, della barca affondata con 41 morti continuano a raccontare ai poliziotti della squadra mobile assieme ai mediatori culturali, le fasi del naufragio. Il barchino, sul quale c’erano 45 persone, fra cui 3 bambini, si è capovolto ed è affondato, a causa di una violenta onda, dopo circa 6 ore dalla partenza da Sfax. Tutti i migranti, stando a quanto riferito dai superstiti: 3 minorenni non accompagnati e un uomo – sono finiti in mare.

“Caduti in acqua, ci siamo sparpagliati in più gruppi, aggrappandoci a quello che abbiamo trovato. Noi eravamo una decina tutti vicini – hanno spiegato – ed eravamo aggrappati a delle camere d’aria. Siamo rimasti per ore, molte ore, in acqua. Due del nostro gruppo, li abbiamo visti annegare, travolti da un’onda. Quando abbiamo visto, a distanza, tanta distanza, una barca di ferro, abbiamo iniziato a nuotare. Non era facile, c’era il mare mosso. Alcuni sono rimasti indietro e non li abbiamo più visti, noi 4 siamo riusciti ad arrivare sulla barca e a salire”. I 4 naufraghi, con il supporto psicologico, sono stati sentiti più volte dagli investigatori perché nei loro racconti c’erano “buchi” e contraddizioni, probabilmente dovuti allo choc, ma anche al timore di parlare con la polizia.

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