“Il fatto non sussiste”, con questa formula, pienamente liberatoria, è stato assolto dall’accusa di tentato abuso d’ufficio il sindaco di Aragona Giuseppe Pendolino.

A pronunciare la sentenza, ribaltando quella di primo grado che l’aveva condannato a 5 mesi e 10 giorni di reclusione, sono stati i giudici della prima sezione della Corte di appello di Palermo, presieduta da Adriana Piras.

L’inchiesta, che ha fatto finire a processo l’amministratore, è stata avviata dopo la revoca dell’incarico ad un dirigente dell’ufficio tecnico che, secondo l’accusa iniziale, sarebbe stata illegittima e frutto di una ritorsione per ragioni di astio personale. Le pressioni di Pendolino sarebbero state finalizzate anche a revocare una consistente sanzione amministrativa che, per prassi, viene comminata dagli uffici quando si accertano violazioni edilizie. I difensori del sindaco, gli avvocati Donatella Miceli e Lillo Fiorello, hanno sostenuto invece che “l’ingegnere era stato sostituito nell’ambito di una prevista rotazione per razionalizzare la macchina burocratica”.

Il reintegro

Pendolino, dopo la condanna di primo grado, era stato sospeso dal prefetto ai sensi della legge Severino salvo poi essere stato reintegrato perché con la sentenza di primo grado, adesso ribaltata, era stato riconosciuto colpevole di tentativo di abuso di ufficio. La legge prevede invece la sospensione solo per i casi di abuso di ufficio consumati.

Il tribunale civile di Agrigento ad aprile dello scorso anno aveva annullato il provvedimento della prefettura di Agrigento, con cui il sindaco di Aragona, Giuseppe Pendolino, era stato sospeso dalla propria carica all’indomani della sentenza di condanna a 5 mesi e 10 giorni di reclusione, per tentato abuso di ufficio.

La sentenza, del giudice Enrico Legnini ha integralmente accolto la tesi degli avvocati Francesco Stallone, Donatella Miceli, Filippo Ficano e Filippo Gallina secondo cui la legge Severino non include il tentativo di abuso di ufficio tra i casi che comportano la sospensione dalla carica e le disposizioni limitative del diritto di elettorato, incidendo su di un diritto politico fondamentale, devono essere considerate di “stretta interpretazione” cosicché non ne è consentita una interpretazione estensiva né una applicazione analogica.