Giusi Patti Holmes

Sono Giusi Patti Holmes, giornalista, scrittrice e, soprattutto, un affollato condominio di donne, bizzarre e diversissime tra loro, che mi coabitano. Il mio motto è: "Amunì, seguitemi".

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Oggi voglio raccontarvi la storia di una straordinaria donna, entrata nella leggenda, il cui nome, Nina Siciliana, Nina da Messina o Monna Nina, è una delle tante incognite che la riguardano. 

Chi era Nina? 

Annoverata come la prima poetessa in lingua volgare, contenderebbe questo importante riconoscimento alla fiorentina, “Compiuta Donzella” che, immagino, ribattezzerebbe, con grande ironia, “Incompiuta Zonzella”. Se vi steste chiedendo il motivo di questa storpiatura, vi confesso che, facendo delle ricerche, ho scoperto che, nella lingua di Dante, “zonzella” è un cibo da strada e Nina, avendola stracciata nel suo campo e facendola diventare “na cosuzza ri nenti”, volendo, avrebbe potuto ridimensionarla, anche, nel nome. 

Nina, la misteriosa 

Di Nina, che visse alla fine del XIII secolo, sconosciamo sia il nome completo, che il luogo di nascita. Qua entrano in scena tre studiosi: Leone Allacci, Geronimo Ragusa e Antonio Mongitore, vissuti tra il XVII e XVIII. Se per i primi due ha origini messinesi, per il terzo, invece, palermitane.  Il derby Palermo-Messina, però, la vedrebbe più vicina alla città dello Stretto in quanto legata a Gui­do e Oddo del­le Co­lon­ne, per­so­nag­gi di spicco del­la Scuo­la Si­ci­lia­na messinese, che spiegherebbe la sua passione per le rime raf­fi­na­te e vo­ta­te al­l’a­mo­re.

Gossip? 

Ebbene sì, il gossip, o “farisi i fatti d’autri”, è sempre piaciuto e sempre piacerà, e il nome di Nina compare accanto a quello del poeta toscano Dante da Maiano, che pare si fosse perdutamente innamorato dei suoi versi e di lei, senza neppure conoscerla. La veridicità di questa storia sarebbe avvalorata da un sonetto che le dedicò e a cui lei rispose con altrettanto trasporto. L’afflato che li univa, probabilmente, facilitò un intenso e struggente scambio epistolare e una romantica e platonica relazione. Questa liaison amorosa la eternò come “La Nina del Dante”.

Cosa rende Nina Siciliana unica? 

La sua unicità sta nell’aver posto la figura femminile in primo piano, rispetto  al maschile, e nel nuovo significato dato alla scrittura poetica. Nina, infatti, non solo rielaborò i modelli con cui era entrata in contatto, ma li ribaltò, diventando apripista di una ri­vo­lu­zio­ne che le “col­le­ghe” ita­lia­ne avrebbero recepito solo tra il XV e il XVI se­co­lo. Nel sentirsi sog­get­to e non più oggetto di passione, mise in di­scus­sio­ne gli sche­mi del­l’a­mo­re cor­te­se che vedevano la donna come angelo del focolare e fonte d’ispi­ra­zio­ne per l’uo­mo che, pur “cantandola”, la relegava in un ruolo di secondaria importanza che lei, affetta da grata attitudine, accettava per quella luce che la poneva, agli occhi di tutti, al centro del mondo. La nostra “trovatrice”, capirete tra un po’ il perché di questa definizione, aveva, invece, una visione diversa in cui la “madon­na”, mea domina a parole, ma non di fatto, era non solo la protagonista, ma messa nelle condizioni di rivelare i sen­ti­men­ti più intimi, sempre con grande di­gni­tà let­te­ra­ria.

Les Trobairitz

Alcuni decenni prima, nel sud della Francia, una ventina di donne, le cosiddette trobairitz, la cui esistenza è accertata e non lascia margini di dubbio, cantava con successo la “fin’ amor” al femminile. Ma Nina, che ho chiamato “trovatrice”, come conobbe quella parallela realtà poetica? Probabilmente frequentando le corti e gli ambienti colti in cui circolavano tanto le liriche delle poetesse provenzali, quanto quelle dei trovatori. 

Dubbi sulla sua esistenza

Adolfo Borgognoni, studioso abruzzese nel 1877, per primo, in “Studi d’erudizione e d’arte”, propose la tesi, riaffermata un anno dopo in un articolo dal titolo “La condanna capitale di una bella signora”, apparso sulla “Nuova Antologia”, che Nina Siciliana fosse nata, in realtà, nell’officina tipografica dei Giunti nel 1527. Da cosa trasse questa convinzione? Forse da una lirica contenuta nella raccolta “Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani”, in cui vi erano anche dei componimenti di Dante da Maiano che, in quanto edita a Firenze da Giunti proprio nel 1527, fu chiamata comunemente “Giuntina di Rime Antiche”. 

Borgognoni teorizzò, pure, l’inesistenza di Dante da Maiano, ma fu smentito, nel 1907, da Santorre Debenedetti, filologo, critico letterario e accademico italiano, che ritrovò, in un manoscritto quattrocentesco, due suoi componimenti in occitano. Riguardo i dubbi sull’esistenza di Nina, da parte di alcuni studiosi, potrebbero legarsi, più che alla mancanza di dati storici, allo scetticismo  nel credere che una donna, in un tempo in cui l’analfabetismo femminile era particolarmente diffuso, potesse passare da oggetto a soggetto di versi, utilizzando, per di più, un volgare che il grande Francesco De Sanctis, autore de “La Storia della letteratura italiana“, definì: “Esempio della eccellenza a cui era venuto”.

A Nina, Francesco Trucchi, filologo toscano del XIX secolo, attribuì il sonetto, considerato da lui un prezioso gioiello, “Tapina me”, presente nel codice Vaticano Latino 3793, 

Tapina me

“Tapina me che amava uno sparviero, amaval tanto ch’io me ne moria; a lo richiamo ben m’era maniero, ed unque troppo pascer nol dovia. Or è montato e salito sì altero, assai più altero che far non solia; ed è assiso dentro a un verziero, e un’altra donna l’averà in balìa. Isparvier mio, ch’io t’avea nodrito; sonaglio d’oro ti facea portare, perchè nell’uccellar fossi più ardito. Or sei salito siccome lo mare, ed hai rotto li geti e sei fuggito, quando eri fermo nel tuo uccellare.”

La contemporaneità 

Rileggendo i versi, è come se lo “sparviero fuggitivo” sia lo specchio  del nostro oggi in cui, al restare e al costruire, si preferisce darsi alla fuga e distruggere. Al mondo slow di Nina si contrappone, insomma, quello fast nostro,  che fagocita i rapporti. 

Nina è veramente esistita? 

La sua esistenza è stata mes­sa più volte in di­scus­sio­ne, ma se fosse stata solo frutto di fantasia perché mai  Palermo e Messina, le città contendenti, l’avrebbero voluta riconoscere, dandole il patentino di autenticità storica, con due strade a lei dedicate? 


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