Maurizio Zoppi

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Dua Lipa è stata avvistata a Palermo. Non in sogno, non in un rendering del Comune, ma proprio in carne, ossa e abiti firmati. Passeggiava tra i vicoli, faceva stories dai tetti, scopriva la città come se nessuno le avesse raccontato nulla prima. Ma proprio nulla nulla.

Pare che abbia detto: “I love Palermo”. E noi siamo felici, perché non è da tutti riuscire a farsi amare mentre intorno, nello stesso momento, rapinano un turista a Ballarò, ne pestano un altro alla Cala e una ragazza denuncia una violenza nel centro storico.

Palermo è così: un’esperienza immersiva. Ti entra dentro. A Dua Lipa ha rubato il cuore, agli altri turisti tutto il resto.

Ma non facciamo polemica. La cantante premio Grammy è stata travolta dalla bellezza decadente, dalla storia millenaria, dai cannoli e dai motorini in contromano. Palermo non ha bisogno di filtri: ha il fascino del disastro. È come una città con la sindrome da bad boy: più ti tratta male, più ti affezioni. E se non ti rapisce il cuore, qualcuno ti rapisce la borsa.

Dua ha anche scritto che vorrebbe tornare. E lo capiamo. A Palermo ci si sente vivi, anche solo per il fatto che ogni volta che la sera vai al centro storico è una roulette russa. È un’attrazione turistica non segnalata, come la buca che uccide un padre di famiglia o il branco di scooter senza casco che fa da scorta involontaria.

L’amore, però, è cieco. E anche un po’ sordo. Perché mentre Palermo si innamora di Dua, l’unico segnale di reazione della città è il silenzio. Un silenzio, mentre esplodono gelaterie misteriosamente e si incendiano lape. Qualcuno si affretta a postare la foto con la popstar con la stessa rapidità con cui ignorano una denuncia per aggressione.

Ma forse è proprio questo il segreto di Palermo: ti deruba con eleganza. Ti seduce con il tramonto, ti distrugge con le strade, ti accoglie con l’odore del pane caldo e ti saluta col rumore di un clacson e un “ma va scassaci a mi….”.

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