Maurizio Zoppi

Scrivo, parlo, respiro... ma non sempre in quest’ordine

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Bandiere, navi delle ONG che ormai sembrano conoscere meglio i ritmi di una campagna elettorale che la via d’uscita da una tragedia. Dichiarazioni solenni: dal Vaticano, dagli Stati Uniti, perfino dal governo Meloni. Tutti pronti a dire che a Gaza si sta consumando un genocidio. Ma oltre alle parole? Nulla. Nel frattempo: bambini fatti a pezzi, giornalisti ammazzati, civili massacrati, ospedali bombardati. Persone che muoiono in fila per un pezzo di pane o che vengono lasciate morire di fame. E il mondo resta lì, a guardare. Fa quasi ridere, se non fosse tragico, che un professore palermitano finisca sui giornali perché ha deciso di togliere da Facebook gli “amici ebrei”. Titoloni, polemiche, dichiarazioni ministeriali. Ma nessuna, dico nessuna, conta reale dei morti. Nessuna pagina di prima serata dedicata alle fosse comuni quotidiane. Lo Stato di Israele, dimenticando — o forse ricordando fin troppo bene — ciò che il suo popolo ha subito, miete ogni giorno nuove vittime. È la cronaca di una carneficina che non smette mai, con la benedizione silenziosa di chi dovrebbe fermarla. Sto leggendo un libro, Ismaele di Quinn. Un gorilla che spiega a un uomo che l’umanità è contro natura, che il suo destino è la fine di sé stessa e della terra. A Gaza questo disegno è chiaro, sotto gli occhi di tutti. Eppure nulla cambia. La domanda è semplice, quasi banale: perché invece di limitarsi a far cadere pacchi di riso e medicinali in una zona bombardata, non si portano via i bambini malnutriti, i feriti, i civili che non hanno alcuna speranza di sopravvivere? Perché l’Occidente, che si riempie la bocca con la parola “umanità”, non compie un gesto davvero umano? La verità è che a Gaza nessuno vuole davvero salvare nessuno. È più comodo indignarsi da lontano, organizzare conferenze stampa, sventolare bandiere. È più comodo continuare a contare i morti senza contarli davvero.

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