Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Il segnale più evidente del fallimento del bipolarismo italiano è arrivato da una regione simbolica: la Toscana.
Qui il Partito Democratico, erede di una lunga tradizione riformista, ha scelto di stringere un accordo con il Movimento Cinque Stelle, forza che per anni ha incarnato l’antipolitica e la delegittimazione delle istituzioni. È un patto che non nasce da un progetto, ma da una necessità di sopravvivenza. E mostra con chiarezza come il bipolarismo, nato per dare stabilità e governabilità, oggi non faccia altro che consegnare il potere ai populisti e piegare i partiti riformisti alla loro logica.
Matteo Renzi lo ammette, con una sincerità che sorprende: “queste sono le regole del bipolarismo”. Ha ragione, e non accade spesso di dirlo. Ma è proprio questa la tragedia: il bipolarismo funziona così, e proprio per questo funziona malissimo. Perché il risultato finale è che la golden share, la quota decisiva, finisce nelle mani dei peggiori demagoghi d’Europa: la Lega da una parte, i Cinque Stelle dall’altra.
Renzi ha tentato, come altri prima di lui, di costruire un centro capace di riequilibrare. È stato vano. Non per colpa soltanto sua, ma per ragioni strutturali. Primo: i poli hanno già al loro interno forze che dovrebbero svolgere quella funzione moderatrice – Forza Italia da un lato, il PD riformista dall’altro. Secondo: gli elettori hanno capito il meccanismo. Non sono ingenui. Un voto a un piccolo centro che guarda a destra significa aumentare le possibilità di vedere Salvini di nuovo al Viminale. Un voto a un centro che guarda a sinistra rafforza la probabilità di ritrovarsi Conte agli Esteri.
Questo è il paradosso italiano: il bipolarismo promette governabilità, ma consegna ostaggi. Dovrebbe selezionare classe dirigente, e invece spalanca la porta a chi grida più forte. Dovrebbe costruire il futuro, e invece gestisce il presente nell’ansia di non perdere consenso. Il patto toscano ne è l’icona: il riformismo costretto a genuflettersi di fronte al populismo per non soccombere alle urne.
L’Italia ha sperimentato altri sistemi: il centrismo degasperiano, l’alternanza imperfetta della Prima Repubblica, il Mattarellum che inaugurò il bipolarismo negli anni Novanta. Tutti avevano virtù e difetti, ma il sistema attuale ha un vizio originario: pretende di contenere i populisti, ma ne è prigioniero. È la gabbia che trasforma la politica in contabilità, le coalizioni in comitati di sopravvivenza, i cittadini in spettatori diffidenti.
Così il Paese resta sospeso tra Salvini e Conte, tra slogan e improvvisazioni, tra governi che nascono già logorati e opposizioni che vivono del discredito altrui. È un bipolarismo dimezzato, che non produce scelta ma ricatto. E allora sì, Renzi ha ragione: funziona così. Ma se funziona così, funziona male. Anzi malissimo.
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