Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Il trasformismo è da sempre la cifra della politica italiana. Nell’Ottocento, più che un difetto, fu un collante indispensabile per tenere insieme un Paese diviso, fragile, ancora in cerca di un’identità. Non rigidità, ma adattamento: la capacità di cambiare alleanze pur di salvaguardare la stabilità.
Un metodo che, se spesso bollato come opportunismo, ha garantito la continuità istituzionale dall’Unità d’Italia fino alla Repubblica, trasformando le crisi in momenti di mediazione anziché di rottura.
L’altra faccia del trasformismo
Ma il trasformismo non fu soltanto risorsa. La continua flessibilità delle maggioranze parlamentari, unita alla distanza crescente tra politica e società civile, contribuì a logorare la fiducia nello Stato liberale.
Già a fine Ottocento, l’impressione che i governi si facessero e disfessero a prescindere dal voto reale alimentava disincanto e sfiducia.
Negli anni del primo dopoguerra, questo vuoto si sommò a una crisi profonda:
l’inflazione galoppante e il debito accumulato con la Grande Guerra;
le tensioni sociali e le lotte operaie;
l’incapacità delle istituzioni liberali di dare rappresentanza alle nuove masse popolari e contadine.
In quel contesto, il trasformismo si rivelò inadeguato: non più strumento di stabilità, ma fattore di discredito, percepito come autoreferenziale e incapace di risposte concrete. Fu anche questo terreno, fertile di disillusione e fragilità, che rese possibile l’ascesa del fascismo, presentatosi come alternativa radicale a una politica vista come “vuota recita di palazzo”.
Promesse tradite, stabilità ritrovata
Oggi lo schema si ripete, ma in condizioni storiche radicalmente diverse. Le agenzie di rating hanno migliorato il giudizio sui conti pubblici italiani: lo spread è stabile sotto i 150 punti, la traiettoria del debito appare sostenibile.
Questi risultati sono stati ottenuti invertendo le promesse elettorali: rigidità sulla riforma Fornero, rispetto dei vincoli UE, niente condoni di massa, contenimento della spesa pubblica.
Il paradosso è evidente: la politica dichiara una cosa, governa facendo l’opposto. Ma, a differenza del passato, il contesto europeo oggi offre un ancoraggio stabile che riduce i rischi di derive autoritarie.
Una costante europea
Non è solo un tratto nazionale: è un meccanismo che permette all’Italia di rimanere agganciata all’Europa.
Il nostro debito pubblico è oltre il 140% del PIL, contro il 112% della Francia e il 66% della Germania.
Nonostante questa zavorra, i governi italiani di ogni colore hanno mantenuto una rotta compatibile con l’integrazione europea.
Anche al Parlamento europeo, gli eurodeputati italiani svolgono un ruolo decisivo nelle grandi coalizioni trasversali.
Questa flessibilità, che altrove sarebbe percepita come instabilità, diventa invece resilienza: la capacità di trasformare contraddizioni in compromessi.
Astensione e nuovo orizzonte
Certo, la disillusione resta forte: alle politiche del 2022 ha votato solo il 63,9% degli italiani, minimo storico. Ma alle elezioni europee la partecipazione resta più alta e più stabile: segno che i cittadini, pur diffidenti verso Roma, riconoscono Bruxelles come l’arena dove si decide davvero il futuro.
La nobile finzione della politica
Forse, allora, la “recita” della politica italiana non è soltanto un inganno. Platone parlava della nobile menzogna, un racconto condiviso che, pur non essendo letteralmente vero, poteva servire a tenere insieme la città. Allo stesso modo, la modernità politica ha spesso fatto ricorso a “finzioni utili”, capaci di dare coesione a società frammentate.
Il trasformismo, letto in questa chiave, diventa più che un vizio nazionale: è un meccanismo simbolico che consente di ricomporre la distanza tra cittadini e istituzioni, tra promesse e realtà. Non è il trionfo dell’inganno, ma la capacità di tradurre le illusioni elettorali in scelte compatibili con la stabilità democratica ed europea.
L’Italia come guida
Il trasformismo italiano, pur avendo conosciuto nel passato i suoi lati oscuri — fino ad agevolare l’avvento del fascismo — oggi assume un significato diverso. È diventato una forza di adattamento che consente di ancorare la democrazia italiana alla cornice europea.
Ecco perché l’Italia, lungi dall’essere l’anello debole, può essere considerata una stella polare: non per la rigidità delle sue posizioni, ma per la capacità di mediare, adattarsi e guidare il processo di radicamento della democrazia europea.
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