Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Non è forse questa la più singolare delle parabole moderne? L’asino che vola.
Un’immagine che, nel nostro tempo confuso, ben rappresenta l’assurdità di un quadro geopolitico in cui ciò che sembra impossibile diventa realtà.
Donald Trump, l’ex presidente americano, sta per incontrare Vladimir Putin, il grande avversario russo che offre – così si dice – una tregua in cambio di cessioni territoriali alla Russia: Crimea e Donbass. Territori tuttavia non del tutto conquistati, un segnale forse di debolezza, ma anche di arroganza.
La verità, come spesso accade in politica, è più sfumata e amara. Trump, dimentico delle sue stesse minacce di inasprire sanzioni secondarie alla Russia già l’8 agosto scorso, sembra tornare alle idee di un passato recente che oggi appaiono surreali. Un ritorno alle fantasie di un mondo in cui l’Ucraina dovrebbe piegarsi, consegnando pezzi di sé al carnefice. Ma cosa potrebbe succedere? Quali sono le vie di un futuro che non sembra più scritto?
Almeno quattro scenari si affacciano sul nostro orizzonte.
Primo: Kyiv, sostenuta dall’Europa e da numerosi altri paesi, rifiuterà categoricamente di cedere terreno. La guerra continuerà, feroce e sanguinosa, ma difesa dalla solidarietà occidentale. L’Europa non potrà mai accettare che la pace si fondi sulla resa, poiché significherebbe legittimare l’aggressione, aprendo la porta a nuove e forse più gravi incursioni di Putin nelle nostre terre.
Secondo: se anche qualcuno pensasse a una resa, sarebbe forse un’illusione passeggera. Una resa sarebbe un cedimento alla forza bruta e al diritto del più forte. Ma a chi giova? All’Europa? Certamente no.
Terzo: l’ipotesi di un congelamento del conflitto – un’idea vagheggiata da alcuni, come Donald Tusk – rappresenta una tregua ambigua, un riconoscimento di fatto ma non di diritto delle occupazioni russe. Kyiv e Bruxelles non accetteranno mai formalmente la perdita dei territori, mantenendo viva la speranza e la legittimità di una futura riconquista. Tuttavia, questa tregua sarà fragile e il primo incidente potrebbe far ripiombare il continente in una guerra ancora più feroce.
Quarto: se la tregua si stabilizza, ecco che le domande cruciali emergono: quanto durerà questa pausa? E soprattutto, quanto saremo disposti a investire in difesa? Sono questioni legate come anelli di una catena. Più a lungo durerà questa quiete apparente, più sarà violenta la guerra al suo risveglio. Perché durante il silenzio, si forgiano armi, si stringono alleanze, si preparano nuovi fronti. La Russia, spalleggiata dalla Cina, potrebbe prepararsi a nuove aggressioni: Moldavia, Taiwan, Paesi Baltici – forse in un arco di cinque anni.
Così ci ritroviamo a osservare un Occidente che sembra cadere in un inganno antico, quello del celebre Neville Chamberlain, che scelse la via della pace apparente con il dittatore Hitler per evitare un conflitto immediato, ma ne provocò uno ancor più devastante in seguito. L’illusione di evitare il confronto oggi potrebbe portare a un prezzo ancora più alto domani.
Trump, in questo quadro, appare come un leader fragile, incapace di imporre una linea chiara, mentre i tiranni di Asia e Russia giocano le loro carte più dure. La sua recente “pace” tra Azerbaijan e Armenia, rivendicata come una sua impresa, altro non è che la conclusione di un processo diplomatico già in corso e ormai maturo.
Dunque, quale futuro ci attende? Quel che è certo è che la politica internazionale si muove tra illusioni e realtà crude, e che la storia – spesso – si ripete nei modi più amari, se non la vogliamo vedere per quello che è.
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