Antonio Perna

Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet

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“Il mondo ha bisogno dell’Europa”. 

Così ha detto Sergio Mattarella, e in quelle parole non c’è soltanto un ammonimento politico, ma un’eco che viene da lontano, dal fondo della nostra storia, dai secoli in cui l’Europa ha costruito e distrutto se stessa, ha dato vita alle cattedrali e alle guerre, alla filosofia e ai genocidi, al Rinascimento e alle dittature. L’Europa non è mai stata innocente, ma proprio per questo ha imparato a conoscersi: conosce il male che ha generato e per questo può aspirare a un bene più grande.

Quando Dante immaginava l’Impero universale nel De Monarchia, sognava un ordine che ponesse la giustizia al di sopra delle potenze armate; quando Montaigne rifletteva sulla fragilità umana, vedeva già in essa la condizione per una convivenza più saggia; quando Goethe parlava di “Weltliteratur”, intravedeva un’Europa che non si chiudeva ma si apriva, capace di dialogare con il mondo intero. Tutto questo siamo noi: una trama di voci, di idee, di memorie che ci ricordano che l’Europa non è soltanto una geografia, ma un destino dell’anima.

Eppure oggi il diritto internazionale appare strappato, e con esso la fiducia che la legge possa essere scudo dei deboli e limite dei forti. L’autocrazia alza la voce, propone la favola di una superiorità che si nutre di obbedienza e paura. Ma è una forza apparente, che crolla quando il silenzio si rompe. La democrazia, invece, è fragile, contraddittoria, lenta. Discute, si ferma, riprende, sbaglia e corregge. È fatta di parole, di compromessi, di limiti. Ma è proprio in questa fragilità che si nasconde la sua potenza, perché accetta l’uomo per quello che è: finito, imperfetto, irriducibile al comando di uno solo.

L’Europa deve scegliere se credere ancora in questa fragilità feconda o se lasciarsi sedurre dalla scorciatoia della forza. Se sceglie la seconda strada, tornerà a essere ciò che è stata nei suoi momenti peggiori: un campo di battaglia di popoli in armi, una successione di vassalli e padroni. Se sceglie la prima, allora potrà essere ciò che la sua storia migliore le ha insegnato: un ponte tra gli uomini, una promessa di pace, una comunità di destino.

“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”: così Ulisse ammoniva i suoi compagni, e così oggi l’Europa dovrebbe ammonire se stessa. Non basta sopravvivere, non basta difendersi, non basta amministrare un presente stanco. Occorre credere che la virtù e la conoscenza – la giustizia e il sapere, la libertà e la memoria – siano ancora i pilastri di una civiltà degna di questo nome.

Il mondo ha bisogno dell’Europa, dunque, ma è forse più vero il contrario: l’Europa ha bisogno del mondo per ritrovare se stessa, per non chiudersi in una fortezza di paure ma aprirsi come orizzonte di speranza. 

Se ci riuscirà, non sarà un miracolo né una vittoria, ma l’adempimento di un destino che da secoli ci accompagna. Perché l’Europa, fragile e potente, colpevole e luminosa, non è soltanto un luogo: è l’idea che l’umanità, nonostante tutto, può ancora scegliere la civiltà invece della barbarie.

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