Salvatore Zichichi

Salvatore Zichichi è un medico per devozione, mente innovativa e nerd, crede nelle relazioni umane come leva per trasformare la sanità e la realtà.

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Ci sono parole che ti arrivano addosso senza alzare la voce.

Non servono maiuscole, effetti, slogan.

Sono parole che ti tengono fermo qualche secondo.

Poi ti fanno pensare. E quando una poesia riesce a farlo, vuol dire che è entrata nel giusto momento.

Nei giorni in cui il mondo sembra un elenco di fronti aperti, bombe, raid, rappresaglie e bambini nei rifugi, mi sono imbattuto (di nuovo) in questa poesia di Bertolt Brecht. Breve. Essenziale. Cruda. Attuale.

“Generale, il tuo carro armato è una macchina potente.

Abbatte un bosco e schiaccia cento uomini.

Ma ha un difetto:

ha bisogno di un autista.

Generale, il tuo aereo è potente.

Vola più veloce di una tempesta e porta più peso di un elefante.

Ma ha un difetto:

ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo è molto utile.

Sa volare, sa uccidere.

Ma ha un difetto:

sa pensare.”


Brecht la scrisse decenni fa, ma sembra fatta per oggi.

Sembra scritta per ogni volta che ci troviamo davanti all’assurdo potere delle armi e ci chiediamo: ma davvero basta così poco per scatenare tutto questo?

Non è la macchina. È la scelta.

Il carro armato funziona. L’aereo vola. I missili partono.

Ma senza qualcuno che preme un tasto, che dà un ordine, che sceglie una direzione, restano metallo. Rumore spento.

Ed è lì che arriva il cuore della poesia:

la tecnologia più spietata non può nulla senza l’obbedienza dell’uomo.

E allora la domanda scomoda diventa: cosa succede quando l’uomo smette di pensare?

Pensare è il vero gesto rivoluzionario

Nel suo finale, Brecht scrive:

“L’uomo ha un difetto: sa pensare.”

E lo fa senza retorica.

Quel “difetto” è la speranza.

È ciò che rende possibile dire no. Fermarsi. Sospettare. Dubitare.

Chiedere se esiste un’altra strada.

Pensare non è un vizio dei deboli.

È la forza di chi sa vedere oltre l’ordine ricevuto, oltre la bandiera, oltre la divisa.

La guerra che ci tocca, anche se sembra lontana

C’è una tentazione ricorrente, quando sentiamo parlare di conflitti: quella di pensare che riguardino altri.

“È lontano”, “è un’altra cultura”, “è politica, non medicina, non scuola, non il mio problema”.

Ma ogni guerra, ogni atto di violenza organizzata, ogni crimine ordinato, ha bisogno di una rete silenziosa di mani che fanno finta di non capire.

Di persone che eseguono, che lasciano fare, che spengono il pensiero.

E allora questa poesia torna utile. Perché ci ricorda che la guerra comincia sempre con qualcuno che smette di porsi domande.

Pensare non ci salverà da tutto.
Ma è l’unico modo per non farci complici. Io non ho risposte per fermare i carri armati. Non ho soluzioni per Gaza, per l’Ucraina, per i morti di fame, per quelli di mare.

Ma so che il pensiero – quello vero, quello scomodo, quello che non cerca giustificazioni facili – è l’unico freno umano alla disumanità.

Per questo continuo a leggere Brecht. Per questo continuo a raccontarlo. Perché l’umanità non è un’emozione. È una scelta.

Ogni giorno prova a non spegnere il pensiero.

Anche quando fa male. 

Anche quando è più comodo guardare altrove.

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