Maurizio Zoppi

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C’è una Palermo che si riempie la bocca di “legalità”, che applaude ai cortei antimafia, che batte le mani alle conferenze sulla memoria di Falcone e Borsellino. Poi, la sera, la stessa Palermo tira fuori la bustina bianca e si fa di coca nei bagni dei locali chic.

È la borghesia palermitana, quella che si indigna per la criminalità ma non per il pusher che porta la polvere a domicilio. Perché l’antimafia, evidentemente, funziona meglio con la narice intasata.

Intanto, in città, l’alcol è fuori controllo: ragazzini che non hanno ancora finito il liceo si schiantano di vodka e gin tonic come fosse acqua, mentre le “canne” sono ormai roba da boomer, fumate da zii nostalgici degli anni ’90. I giovani oggi vanno dritti all’MDMA, al crack, alla cocaina. E il crack, soprattutto, è la fucina di tragedie familiari: scava voragini anche dentro le case più abbiette, dove la miseria si somma alla dipendenza.

E i Sert? Navigano a vista, sovraccarichi, senza mezzi né personale. Non esiste a Palermo un vero centro capace di accogliere e curare adolescenti già stritolati dalla dipendenza. Ragazzi di 15 o 16 anni che arrivano al pronto soccorso per overdose, mentre i genitori – disperati – sono costretti a fare la cosa più atroce: denunciare i propri figli pur di salvarli.

Il tutto in una città piena di murales di morti ammazzati, dove le facce dei martiri di mafia vegliano dai muri come santi laici. Un gigantesco altarino urbano che predica memoria e sacrificio, mentre sotto, tra vicoli e locali alla moda, la gente si fa. Una Palermo che onora i caduti con lo spray, ma che convive serenamente con il nuovo cimitero chimico: quello delle sostanze.

Questa è la Palermo che non si racconta. Non quella dei cortei antimafia, non quella dei concerti in memoria dei giudici uccisi, ma quella che si spacca il naso di cocaina e la testa di alcol. Una città che si sballa per dimenticare, ma che rischia di non ricordarsi più nemmeno chi è.

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