Cresce il divario tra nord e sud con le università siciliane che registrano cali pesanti di iscritti. L’analisi di questo contesto preoccupante è stata fatta dall’Osservatorio per la qualità dei servizi accademici Unicodacons nel quadro dell’attuale situazione degli atenei siciliani. Nel corso dell’incontro si è discusso delle differenze tra gli atenei del nord e del sud del Paese. Differenze che vanno oltre la geografia e influenzano l’esperienza degli studenti, le opportunità di studio e persino le prospettive di carriera.

Infatti, quello che si legge nel recente rapporto 2023 di Almalaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati italiani è tutt’altro che incoraggiante per la realtà meridionale. E ancor peggio va nei quattro atenei siciliani di Catania, Enna, Messina e Palermo. Il calo più pesante degli iscritti a Catania, fanalino di coda che perde addirittura il 9 per cento di immatricolati nel corrente anno accademico Divario che rischia di aggravarsi alla luce dei trend demografici che vedono una forte migrazione dei giovani verso le regioni del Nord.

Migrazione in aumento

Il confronto a Catania nella sede dell’AssoUrt, l’associazione nazionale utenti dei servizi radiotelevisivi. A presenziare Codacons Sicilia con i rappresentanti regionali di Confeuropa consumatori, Orion, Ldc e numerosi docenti universitari. Ad emergere il fatto che il 28,6% dei giovani del Mezzogiorno decide di conseguire la laurea in atenei del Centro e del Nord, con una preferenza verso gli atenei settentrionali. Tale quota, tra l’altro, risulta in crescita negli ultimi anni: era il 23,2% nel 2013. Alla migrazione per motivi di studio si accompagna, inoltre, una crescita della migrazione dei laureati per motivi di lavoro: uno su tre (33,3%) per i laureati di primo livello, e uno su due (47,5%) per quelli di secondo livello, partono dalle regioni meridionali, con un incremento del 2 per cento rispetto al 2021.

Costi e qualità della didattica

Inoltre, nel corso della riunione è stato esaminato un recente studio condotto dalla Banca d’Italia dal titolo “Il sistema universitario: un confronto tra Centro-Nord e Mezzogiorno”. Da qui emerge che si trasferiscono al Nord gli studenti più preparati e provenienti da famiglie con condizioni economiche migliori. Molto si spiega con le maggiori possibilità delle famiglie benestanti di sostenere i costi del trasferimento, degli affitti e della vita in generale. Spese che vengono affrontate non soltanto per le maggiori opportunità di trovare un lavoro dopo la laurea, ma anche per usufruire di una migliore offerta formativa.

Sulla scelta di trasferirsi o rimanere nella regione incide, infatti, anche la qualità della didattica e la disponibilità dei servizi. Come dimostrano dati e studi fatti negli ultimi anni, i giudizi sull’insegnamento (competenza dei docenti, chiarezza espositiva, presenza alle lezioni e nelle ore di ricevimento, generale disponibilità) e sui servizi (come l’adeguatezza delle aule, dei laboratori e delle biblioteche) sono sistematicamente migliori tra gli studenti del Sud che si sono laureati al Nord piuttosto che tra gli studenti che hanno studiato in un ateneo meridionale.

Università chiamate a garantire standard ottimali

Durante il vertice l’avvocato Giovanni Petrone, presidente regionale Codacons, ha precisato che le università statali non sono aziende private né tantomeno circoli culturali. “Si tratta – ha detto – di istituzioni pubbliche i cui operatori, dai tecnici-amministrativi ai docenti, sino al rettore, sono pagati con denaro pubblico e chiamati a operare per fornire ai cittadini servizi di qualità. Da quelli inerenti alla formazione a quelli riguardanti la divulgazione delle conoscenze, la ricerca, in particolare quella applicata. L’università non può più costituire un mondo a sé, una sorta di ‘gabbia dorata’ del tutto autoreferenziale, noncurante delle reali esigenze del territorio e, in particolare, dei giovani che lo popolano”.

Petrone ha anche evidenziato che i destinatari dei servizi accademici sono in primo luogo gli studenti, protagonisti dell’attività di formazione e senza i quali le università non avrebbero motivo di esistere. Pertanto, secondo Petrone, gli studenti e loro famiglie, che sostengono il pesante onere finanziario per mantenerli durante l’intero percorso formativo sino alla laurea e spesso anche oltre, hanno il diritto di pretendere dall’università l’erogazione di servizi didattici che siano il più possibile di qualità e propedeutici a reali prospettive occupazionali.

No a monopolio di ristretta cerchia accademica

L’avvocato Bruno Messina, vicepresidente regionale Codacons, ha ribadito che gli atenei sono un “bene comune”. Tutt’altro che monopolio di una ristretta cerchia accademica o, peggio ancora, dei soli organi di vertice che le governano, i cui temporanei gestori sono chiamati a operare in costante collegamento con i cittadini e con le organizzazioni rappresentative degli stessi. “Si tratta – ha precisato – di un bene fondamentale per la crescita sociale delle nuove generazioni e per il benessere economico del territorio che le ospita, fonte di sviluppo, di risorse, di occupazione. Un bene così importante la cui cura impone la più ampia partecipazione dei cittadini, che, insieme agli studenti e alle loro famiglie, sacrificano importanti risorse economiche per il progresso degli studi e delle ricerche accademiche”.

Giovani costretti a migrare

“Il fatto che l’università possa e debba essere il principale volano dell’economia territoriale – ha dichiarato Nino Messina di Unocodacons – risulta ancora più evidente in quelle realtà, come la nostra, in cui gli atenei sono spesso afflitti, ormai da alcuni anni, da macroscopici fattori di criticità. Ciò condiziona negativamente le attività istituzionali, didattica, ricerca e servizi, con conseguente perdita di parecchie posizioni nella considerazione nazionale e internazionale, costringendo così tanti nostri giovani a migrare verso altre destinazioni, in grado di assicurare standard qualitativi più elevati e migliori prospettive occupazionali. Da un canto, la crisi degli atenei determina un ingente dispendio di risorse economiche per le famiglie che devono affrontare i costi diretti della migrazione studentesca; dall’altro, il che è ancora più grave, sottrae ogni anno all’economia territoriale centinaia di milioni di euro, con conseguente penalizzazione di qualsiasi attività produttiva”.

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