La pandemia di Covid19 ha messo a dura prova il mondo intero. Una emergenza sanitaria ed economica che nessuno si aspettava di dover affrontare. In Italia sono oltre 33.500 i decessi, siamo in fase di ripresa, all’insegna della prudenza, ma si teme la seconda ondata del virus.
Ci sono paesi dove la situazione è attualmente davvero drammatica, anzi spaventosa.
E’ il caso del Perù, dove il lockdown iniziato il 15 marzo, proseguirà per tutto il mese di giugno.
“E’ stato come vivere in un film dell’orrore” dice Marco Antonio Molino, catanese 51enne, da oltre 10 anni residente a Iquitos, una città del Perù nord-orientale, capoluogo della regione di Loreto. Iquitos è conosciuta come “la isla bonita”, cioè l’isola bella, raggiungibile solo in aereo o in imbarcazione, navigando lungo gli affluenti del Rio delle Amazzoni.
Il 90% della popolazione di Iquitos è stata infettata dal Covid19, come Marco. E anche se adesso il peggio sembra essere passato, lui e i suoi genitori, papà Rosario e mamma Eugenia Paola, entrambi di 78 anni, che un anno fa lo hanno raggiunto in Perù, si ritrovano al momento senza alcuna fonte di sostentamento economico.
Rosario ed Eugenia Paola, colpiti anche loro dal Covid19, non possono al momento riscuotere la loro pensione erogata dall’Inps. La mamma di Marco si trova a casa; il papà, le cui condizioni sono state sino a poche ore fa critiche, è in fase di miglioramento ma è ancora ricoverato in ospedale attaccato all’ossigeno. Il Coronavirus gli ha provocato danni all’80% dei polmoni, e la sua guarigione definitiva non sarà immediata.
Di solito Rosario ed Eugenia Paola, per prelevare la loro pensione, si recavano ad uno degli sportelli della Western Union, l’azienda internazionale di servizi finanziari specializzata nel trasferimento di denaro e dove riscuotevano quanto dovuto loro dall’Inps in soles peruviani, cioè la moneta del luogo.
Rosario ed Eugenia Paola, avrebbero dovuto prelevare la loro pensione l’1 giugno, ma come facilmente intuibile, non sono stati in grado di adempiere alle operazioni necessarie. Neanche Marco ha potuto farlo.
Ma lui non si è perso d’animo e ha mandato più di una mail all’ambasciata italiana a Lima, chiedendo una soluzione.
L’ambasciata, che in un primo momento non aveva risposto alle sue sollecitazioni, lo ha contattato ieri telefonicamente indicandogli una strada da percorrere con l’aiuto dell’incaricato consolare dell’ambasciata a Loreto, Federico Marco Ventre Ferro.
Il pratica si dovrebbe redigere una delega, firmata dal padre di Marco, in cui lo stesso autorizza un altro suo figlio residente a Catania, a riscuotere la pensione nella città etnea direttamente all’Inps. Ventre Ferro dovrebbe certificare che papà Rosario è ospedalizzato, garantire l’autenticità della firma e occuparsi di qualche altro passaggio burocratico anche se l’ambasciata non può fare pressioni su Western Union in quanto società privata. Una volta riscossa la somma a Catania, dopo aver ricevuto tramite e-mail la documentazione necessaria, il fratello di Marco provvederebbe poi ad effettuare un bonifico bancario ai suoi familiari.
Insomma, si tratta di un problema di non facile risoluzione e intanto la famiglia Molino è allo stremo delle possibilità economiche.
Marco, conosciuto ad Iquitos per il suo impegno umanitario e ambientalista, e in quanto fondatore della Ong Nuestro Horizonte Verde, non esita a palesare tutte le proprie difficoltà, e approfitta della nostra chiacchierata per raccontare l’emergenza Covid19 in Perù, dove si sta consumando, soprattutto nella regione di Loreto, un grande scandalo che ha coinvolto i politici locali ed in particolar modo il governatore. Sono accusati di aver ricevuto dei fondi dallo Stato per fronteggiare la pandemia ma di non averli adeguatamente impiegati per proteggere efficacemente il personale medico e curare i malati.
Marco è un fiume in piena: “A Iquitos, su 700mila abitanti, i morti, almeno stando ai dati ufficiali, sono stati 1500 ma il sospetto è che i dati siano sottostimati. Il 60% dei medici impegnati negli ospedali Covid sono stati contagiati, tantissimi i decessi. E’ stata una ecatombe”.
Marco e la mamma non sono stati ricoverati in ospedale, dove a causa della carenza di posti letto, sono stati portati solo i pazienti più gravi.
Marco racconta di aver visto scene incredibili e terribili: “All’ospedale di Iquitos c’erano malati in attesa di un letto stesi sui pavimenti delle corsie e anche nell’atrio della struttura sanitaria”.
Adesso, a tre mesi dall’inizio dell’incubo, la situazione sembra migliorata, sono arrivata medici dall’estero ed i posti per i ricoveri sono aumentati.
“Ti trovi, da un giorno all’altro – aggiunge Marco – in una situazione surreale. Io avevo accusato, a inizio maggio, sintomi riconducibili ad un banale raffreddore, come la congestione nasale. Dopo otto giorni è scoppiata ‘la bomba’, non avevo più nemmeno la forza di fare le scale, ho iniziato a star peggio sino a scoprire, ma solo tramite consulto telefonico con il mio medico, che avevo tutti i sintomi del Covid19. Adesso sto bene, vorrei sottopormi al tampone o al test sierologico che però vengono effettuati solo in ospedale. Chi ha dovuto rimanere a casa si è ‘curato’ secondo le indicazioni dei medici, ovvero assumendo eparina e ivermectina, un farmaco antiparassitario la cui efficacia contro il Coronavirus è stata scoperta in Australia, ed ossigeno. Ma il vero problema è il costo dei farmaci, noi non abbiamo un’assicurazione medica e dobbiamo acquistarli tutti. I prezzi sono stati maggiorati anche di venti volte. C’è stata una speculazione vergognosa. Sono arrivato a pagare una bombola d’ossigeno per i miei genitori anche 3800 soles e considerate che lo stipendio medio in Perù è di 800 o 900 soles. Se avevi già la bombola di ossigeno potevi comprare solo la ricarica, che si ritira giornalmente, e costa, in corrispettivo alla moneta italiana, non meno di 100 euro. Molta gente è morta per la mancanza di ossigeno, perché non ha potuto acquistarlo”.
Marco ha dato fondo a tutti i risparmi familiari per curare se stesso ed i genitori ed inoltre non lavora da tre mesi.
Adesso il padre è in ospedale “è almeno lì – dice – l’ossigeno glielo danno gratuitamente. Ma ottenerlo è stata una peripezia. All’inizio dell’emergenza, l’ospedale non aveva nemmeno l’impianto di ossigenazione adeguato. Adesso da tre settimane funziona regolarmente grazie ai fondi raccolti con una grande colletta da padre Raimundo, un sacerdote maltese che si spende molto per gli abitanti di Iquitos, dove buona parte della popolazione vive in condizione di povertà”.
Ma i farmaci disponibili in ospedale non bastano per tutti. Così bisogna comprarli e Marco spende circa 50 euro al giorno.
“Non posso andare avanti così – non teme di ripetere – devo anche comprare il cibo e pagare l’affitto di casa. Sinora ci hanno aiutato mio fratello ed i miei zii inviandomi denaro dalla Sicilia, ma io, mia madre e mio padre non possiamo continuare a gravare sulle loro spalle”.
Fondamentale, per la comunità di italiani che vivono ad Iquitos, è stato l’aiuto di Federico Marco Ventre Ferro. “Si è prodigato molto per noi ammalati italiani – dice Marco – è un uomo di ammirevole vitalità e tenacia. Sta acquistando a sue spese due bomboloni di ossigeno per i più bisognosi. Non smetterò mai di ringraziarlo”.
Nonostante tutto, Marco non perde l’ottimismo che lo contraddistingue e spera di poter riabbracciare presto le scolaresche che incontrava, prima della pandemia, quotidianamente, nella sua fattoria didattica, Natura Viva, con annesso giardino botanico, un luogo incantevole dove specie animali e vegetali vengono tutelate e rispettate insieme allo straordinario patrimonio naturalistico e paesaggistico dell’Amazzonia.
Adesso è il momento di guardare avanti e pensare al futuro ma bisogna però prima risolvere i problemi del presente. Naturalmente vi terremo informati sugli sviluppi della vicenda sperando che l’Italia possa dare loro una mano superando la burocrazia che non gli permette di ricevere la pensione ma magari andando oltre attraverso l’Unità di crisi della Farnesina. Molto è stato fatto per tanti italiani. Un caso su tutti che possiamo ricordare quello di Jesus Jaime Mba Obono, informatico di 49 anni, cittadino italiano, originario della Guinea Equatoriale, colpito a fine aprile nel suo paese dal coronavirus e portato in Italia con un volo sanitario dove è stato curato a Palermo e sta meglio. Non è forse questo il caso ma certamente l’Unità di crisi della Farnesina avrà un modo per aiutare questa famiglia catanese ammalatasi e bloccata in Amazzonia.
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