La ‘distrazione’ di somme e di beni dell’azienda dichiarata fallita era un affare di famiglia. Quello della famiglia di Antonio Ranieri, 73 anni, amministratore della ‘Set Impianti’, colosso nel settore della cantieristica navale ad Augusta e dei figli, soci della srl, Francesco, 46 anni e Raffaele, 45. Originari della Calabria, i tre imprenditori, finiti ai domiciliari per bancarotta fraudolenta hanno continuato la loro attività nonostante l’azienda dal 2011 navigasse in cattive acque.

Antonio Ranieri sta rientrando in queste ore dall’estero dove si trovava per lavoro.

Le indagini, coordinate dal pm Marco Regolo e dal pool di magistrati del gruppo per i reati contro la criminalità economica’ della Procura distrettuale di Catania sono state svolte dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania.

Somme di denaro e beni aziendali che, secondo l’accusa, sarebbero stati distratti dal patrimonio della fallita sono stati sequestrati alla famiglia Ranieri: 2,5 milioni euro e due rami d’azienda una per la costruzione di imbarcazioni e la costruzione e manutenzione di impianti industriali nel settore petrolchimico, per un valore complessivo di 12 milioni di euro e un capannone industriale, del valore di 700 mila euro.

Le indagini sono state avviate nel 2011, dopo il fallimento della “Set Impianti S.r.l.”. La società già operante nella realizzazione e installazioni di impianti industriali è stata trasferita da Augusta a Catania a fine 2012 e dichiarata fallita nel novembre 2014 dal Tribunale etneo con un passivo di oltre 20 milioni nei confronti dell’Erario.

La società è stata progressivamente svuotata di tutte le attività economiche e finanziarie, trasferite verso altre società riconducibili a Antonio Ranieri e ai figli. 

Gli investigatori hanno passato ai raggi x la distrazione del ramo aziendale più significativo e redditizio della società fallita, quello relativo alla costruzione e alla manutenzione di impianti petrolchimici, avvenuta attraverso la graduale cessione dei contratti di appalto, delle maestranze e delle attrezzature ad altra società del Gruppo “Ranieri”.

In questo modo gli indagati hanno continuato a svolgere l’attività dell’impresa fallita con una nuova società senza debiti. E ancora, la distrazione di oltre 1,5 milioni di euro utilizzati per finanziare altra società nel settore della cantieristica navale.

Altra operazione dolosa è stata la dismissione di un capannone industriale, del valore commerciale di 700 mila euro il cui pagamento non è, di fatto, mai avvenuto, in quanto le risorse impiegate provenivano dalle casse della fallita. Ad aggravare il dissesto contribuiva, anche, la stipula di un contratto con altra società riconducibile agli indagati per servizi amministrativi resi da ex dipendenti della fallita, che generava maggiori costi stimati in oltre 1 milione di euro.

A svuotare le casse della ditta fallita ha contribuito anche il pagamento di “stipendi” e “rimborsi spese” fatti nel 2013 e 2014 a favore dei due soci e dipendenti Francesco e Raffaele Ranieri per 1,2 milioni di euro. Erano di gran lunga superiori rispetto a quelli degli altri dipendenti con le stesse qualifiche.

Il quadro complessivo emerso dall’esame della documentazione sequestrata, dalle ispezioni informatiche, dagli accertamenti bancari e dalle indagini tecniche ha evidenziato che la società, per effetto delle ingenti perdite accumulate, non avrebbe dovuto più operare già a partire dal 2011.

I beni e i rami aziendali sequestrati continuano a essere operativi e, da oggi, saranno gestiti da tre amministratori giudiziari già nominati dal Tribunale di Catania.