E’ stato arrestato dai carabinieri di Giarre per detenzione illegale di arma da fuoco il 75enne Antonino Marano, uno dei ‘killer delle carceri’ del gruppo dei ‘Cursoti‘ milanesi.
Pluriergastolano era tornato in libertà da circa sei anni. E’ stato bloccato, assieme a un altro pregiudicato, in auto, in possesso di una pistola calibro 7,65 bene oliata, con il colpo in canna e il caricatore pieno, nascosta nel suo borsello. Una delle ipotesi maggiormente accreditate è che si stesse recando a un ‘incontro chiarificatore’.
Lui è stato condotto in carcere, l’uomo che era con lui è stato rilasciato. Antonino Marano, assieme a Antonino Faro e al rivale Vincenzo Andraus, è uno dei ‘killer delle carceri’, autori di diversi omicidi e di gesti eclatanti, come l’evasione nel 1978, assieme a tre complici, compreso Faro, dal carcere di piazza Lanza a Catania.
Sicario di grosso spessore criminale è stato anche protagonista di episodi che segnarono la cronaca criminale degli anni ’80. Come quando nel carcere di San Vittore a Milano, con Faro, urla di essere in possesso di una bomba e col complice fa irruzione nella cella di Andraus per ucciderlo con un tubo della doccia che “avevamo staccato con le mani” per “assassinare un infame”, ma l’intervento dei secondini bloccò il tentativo di omicidio.
Ai giornalisti durante il processo, in cui furono condannati a 17 anni di carcere ciascuno, non spiegarono il movente: “se Andraus fosse morto – spiegò Marano – si poteva dire, ma purtroppo è vivo. Quando morirà ne riparleremo…”
Il 5 ottobre del 1987 lui e Faro furono vittime di un attentato nell’aula della Corte di Assise di Milano: durante la requisitoria del Pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò con una pistola diversi colpi contro di loro, ma ferì due carabinieri.
Il tentativo di vendetta arriva un anno dopo. E’ il 7 novembre del 1988 e nell’aula-bunker delle Vallette di Torino si celebra un processo-stralcio contro il ‘clan dei catanesi’ davanti la Corte d’assise presieduta da Gustavo Zagrebelsky, quando da una delle gabbie Marano lanciò una bomba-carta contro la celle in cui si trovano i fratelli Nuccio e Luigi ‘Jimmy’ Miano.
L’ordigno artigianale realizzato con dell’esplosivo nascosto dentro un pacchetto di sigarette non colpì il bersaglio, ma una canaletta elettrica e un termosifone in ghisa sventrato dall’esplosione. Episodi che sembravano finiti impolverati nell’antica sanguinosa storia di Cosa nostra di Catania, rispolverate dall’arresto di Marano.
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