“Nonostante il suo severo quadro clinico per diabete mellito, ipertrofia prostatica con stenosi uretrale serrata, cardiopatia ischemica, nessun Giudice ha mai preso in considerazione la gravità che il detenuto fosse ad alto rischio di morte”. Sono le parole dell’avvocato Giuseppe Lipera sulla morte, avvenuta ieri nel pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di Milano, del suo assistito Antonino ‘Nino’ Santapaola. Era malato da tempo.

L’avvocato, “Rammarico, non sono stato ascoltato”

Santapaola era l’ergastolano detenuto al 41 bis nel carcere di Opera e fratello dello storico capomafia catanese Benedetto. Il penalista, in una nota, “manifesta profondo rammarico, per non essere stato assolutamente ascoltato” e ricordando che “Santapaola il prossimo 30 settembre avrebbe compiuto 68 anni, di cui 22 trascorsi ininterrottamente da detenuto”.

Continue istanze per la scarcerazione

“Le sue condizioni di salute – sottolinea l’avvocato Lipera – non attenevano solo ed esclusivamente la sfera psichiatrica, bensì anche quella fisica, tant’è che ho sempre presentato istanze per accertare l’incompatibilità del gravissimo stato di salute del detenuto sia con il regime carcerario ordinario e ancor di più con quello del 41 bis”. Nino Santapaola era stato arrestato il 4 aprile del 2000 nell’ambito della maxi operazione ‘Orione’ della Dda di Catania. Era stato sottoposto a diversi procedimenti penali, sospesi per incapacità di stare in giudizio, perché affetto da una grave schizofrenia che, secondo diverse perizie disposte dai giudici, non gli ha permesso in tutti questi anni di comprendere coscientemente il significato del processo.

Malattia aveva fatto rinviare processi

Proprio il 18 luglio, a Milano un processo in cui era imputato era stato rinviato per l’impossibilità del boss di “prendere parte scientemente al processo”. “Tutti i suoi processi – ha commentato il suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipera – sono sospesi per il grave stato di salute del mio assistito. Avevo presentato più volte istanze per la sua scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari e, almeno, la revoca della misura del 41 bis, a cui era sottoposto nonostante la grave malattia da cui era oggettivamente affetto. È un caso che deve fare riflettere tutti noi”.