- Il lockdown e la pandemia hanno cambiato il nostro modo di relazionarci
- Lo studio dell’Università di Catania e La Sapienza sulla dipendenza da smartphone
- La nomofobia affligge più le donne che gli uomini
Il periodo di lockdown ha modificato intrinsecamente il nostro modo di relazionarci e di vivere. La tecnologia ha rivestito un ruolo fondamentale per il mantenimento delle attività lavorative e dei rapporti sociali, arginando al contempo la diffusione del virus. Ma se da un lato l’uso dei dispositivi elettronici è diventato imprescindibile, dall’altro la necessità di rimanere connessi il più possibile per vivere ha creato i presupposti per generare una vera e propria dipendenza da cellulare.
È per questo che un uovo studio, condotto dai ricercatori del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania, in collaborazione con i ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, dal titolo: “Smartphone addiction across the lifetime during Italian lockdown for COVID-19” ha voluto studiare il legame tra età e sesso e utilizzo dello smartphone, per valutare possibili correlazioni tra dipendenza e disturbi mentali.
Il risultato, sebbene tarato su un campione ristretto, ha evidenziato come una vera e propria dipendenza sia diffusa soprattutto tra i più giovani e tra i partecipanti di sesso femminile.
LA NOMOFOBIA
La nomofobia è un termine relativamente nuovo, che deriva dal greco -ϕοβία e dall’inglese no-mobile e indica la paura di rimanere disconnessi, di non poter comunicare e di non avere accesso costante alle informazioni. Una pura che genera una vera e propria dipendenza che sfocia nel desiderio compulsivo di avere sempre con sé il cellulare.
Le vere e proprie manifestazioni sintomatiche di questa dipendenza sono: sudore, tremore, battiti cardiaci accelerati e difficoltà di respirazione. Dipendenza allarmante per i più giovani, tra cui l’abuso del cellulare e dei dispositivi elettronici genera ansia, depressione, senso di fallimento e disordini del sonno.
LO STUDIO
Il questionario del CoEHAR è stato sottoposto a 1264 partecipanti di età compresa tra i 15 e i 67 anni durante il mese di marzo 2020. Il 59,5% di questi era composto da donne. Il questionario è stato fatto circolare in tre città italiane, rappresentative del sud, del centro e del nord Italia: Catania, Siena e Ferrara.
Dallo studio è emerso che l’utilizzo erroneo dello smartphone e il relativo abuso sono più frequenti tra i giovani, specialmente se donne. Circa dopo i 40 anni, la curva di dipendenza si sposta maggiormente vero i partecipanti di sesso maschile.
Ad oggi non esistono molti studi con cui comparare i risultati del questionario. Sappiamo però, grazie ad alcune ricerche internazionali, che esistono differenze nell’uso del cellulare tra uomini e donne: infatti, i soggetti maschili, soprattutto in giovane età, utilizzano lo smartphone per rilassarsi e svagare (ascoltare musica, giocare, ecc), mentre le femmine lo sfruttano per comunicare e rimanere connessi ai propri account social.
Durante il lockdown, il bombardamento di stimoli a cui gli italiani sono stati sottoposti ha generato comportamenti identificabili come vere e proprie dipendenze.
Secondo quanto emerso dal questionario, infatti, circostanze che impediscono le interazioni sociali convenzionali aumentano il rischio di incorrere in comportamenti patologici e dipendenze da dispositivi elettronici. Dati allarmanti che possono servire per studiare schemi e connessioni tra dipendenze e disturbi mentali.
Secondo quanto sostenuto da Pasquale Caponnetto, docente a contratto di psicologia clinica e clinica delle dipendenze presso il Dipartimento di Scienze delle Formazione dell’Università di Catania e coordinatore del CPCT – Centro e Prevenzione e Cura al Tabagismo del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania: “Lo smarthphone ci ha uniti in un momento delicato e ci ha ingaggiato (per usare un termine d’uso frequente) generando in sua assenza delle sintomatologie simil abbandoniche a cui la psicologia dovrà rispondere con soluzione terapeutiche più che innovative relative al trattamento delle dipendenze”.
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