- Volge a conclusione il secondo processo d’appello a Raffaele Lombardo
- Il processo nasce dall’annullamento dell’assoluzione da parte della Cassazione
- Nell’arringa difensiva contestate tutte le accuse
- L’accusa ha chiesto 7 anni e 4 mesi
“Accuse fumose e astratte”. Sarebbero quelle rivolte all’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo nel processo suo carico. Almeno così le ha definite l’avvocato Vincenzo Maiello nell’arringa conclusiva della difesa nel processo d’appello che vede imputato, per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato, proprio Lombardo. Al termine della requisitoria, la Procura generale di Catania, lo scorso 2 febbraio, aveva chiesto la condanna a sette anni e 4 mesi di carcere per l’ex Governatore.
Una “biblioteca di Babele”
Le accuse non trovano riscontro nei fatti e costituiscono una “Biblioteca di Babele”, un universo onirico che prende la forma di una gigantesca e forse infinita biblioteca.
“L’imputato vi chiede di essere giudicato ‘come semplice imputato’ all’interno di un processo” nonostante il clamore mediatico. E come si fa a corrispondere a questa sua invocazione? Semplicemente mettendo al centro il diritto e invocando, noi a voi, di essere davvero terzi, di esprimere un giudizio che sia autenticamente imparziale”. Poi Maiello sicura di precisare, vista la foga della sua arringa “I miei strali censori critici si rivolgono agli argomenti, alle impostazioni concettuali, ai quadri di ragionamento”
La storia del processo
Il nuovo processo d’appello nasce dall’annullamento dell’assoluzione da parte della Cassazione che nel 2018 cancellò con rinvio, la sentenza del procedimento di secondo grado, emessa l’anno prima, che era terminata con l’assoluzione
Una sentenza, quella di secondo grado, che a sua volta aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi
Nella scorsa udienza, rendendo dichiarazioni spontanee, davanti alla seconda sezione penale della Corte d’appello di Catania, presieduta da Rosa Anna Castagnola, l’ex Presidente della Regione siciliana, aveva ribadito con forza le azioni politiche intraprese che hanno “fortemente contrastato Cosa nostra”.
L’appello ai giudici “siate terzi”
Richiama il diritto e la legge, l’avvocato di Lombardo ricostruendo le azioni da presidente del suo assistito e ricordando altri importanti precedenti come la sentenza Mannino, sul concorso esterno i n associazione mafiosa “dalla nuova formulazione del 416 ter” sullo scambio elettorale politico-mafioso “emergono dei nuovi requisiti che valgono a differenziare la nuova tipologia” del reato. “Il patto elettorale definito dalla sentenza Mannino non corrisponde a un reato di condotta – spiega Maiello – ma è un reato di evento”.
Storia politica trasformata in “Romanzo Criminale”
“Ci troviamo innanzi a una accusa che ha voluto raccontare una storia politica declinandola sul registro del Romanzo Criminale, facendo di Raffaele Lombardo una sorta di struttura di servizio di Cosa nostra etnea, un terminale destinato a garantire protezione ad affari inconfessabili, a prospettive di espansione del controllo del territorio della sopraffazione e della intimidazione della violenza e noi stiamo qui a chiederci ancora se è intercorso un patto tra l’imputato a Cosa nostra”.
Le dichiarazioni de pentiti non riscontrabili
Contesta, poi, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia l’alto difensore di Lombardo nella seconda arringa difensiva,. E lo fa a partire dalle dichiarazioni di Maurizio Avole che racconta di una conoscenza tra Raffaele Lombardo e Benedetto Santapaola, datata 1991-1992.
“Avola (querelato da Lombardo per diffamazione ndr) parla di un patto elettorale che poi, però, non si sarebbe concretizzato – dice l’avocato Maria Licata che continua – Anche qui siamo in presenza di una dichiarazione falsa perché Lombardo si è presentato a molte elezioni, tranne proprio nel 1997 e nel 1998”
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