È diventata definitiva la condanna, emessa dalla corte d’appello di Catania, a 12 anni di reclusione per tentato omicidio e porto illegale di arma da fuoco di Camillo Leocata. Il settantunenne sparò un colpo di pistola, ferendolo gravemente, al vicebrigadiere dei carabinieri Sebastiano Giovanni Grasso, di 43 anni, che, fuori dal servizio, era intervenuto per aiutare i suoi colleghi a sedare una rissa nella chiesa di Santa Maria degli Ammalati, frazione di Acireale, durante una prima comunione. Il grave fatto si verificò il 5 settembre del 2021.
La Cassazione ha rigettato i ricorsi
La Corte di Cassazione ha infatti rigettato i ricorsi dell’imputato, assistito dall’avvocato Michele Ragone, che aveva sostenuto la tesi dell’eccesso colposo di legittima difesa, e della procura generale di Catania e delle parti civili sull’esclusione delle aggravanti.
Intatte le pene accessorie ed i risarcimenti in sede civile
Restano intatte, come confermate in secondo grado, le pene accessorie e le statuizioni civili, fissate in 805 mila euro alla vittima della sparatoria, che era in chiesa per la prima comunione del figlio ed ha subito gravi danni al canale midollare a una vertebra cervicale, e 20 mila euro al ministero della Difesa-Comando generale dei carabinieri.
Il movente
La drammaticità di quello che accadde tre anni fa è il movente che scatenò il violento litigio in chiesa. I genitori separati di uno dei ragazzi che quel giorno ricevette il sacramento dell’eucarestia fu infastidito dall’assegnazione dei posti, che furono sorteggiati. Ai familiari della mamma non piacque rimanere indietro rispetto ai parenti del padre.
Dalle parole si passò alle mani. L’imputato, nonno paterno del bimbo, vide che i parenti dell’ex nuora stavano insultando e aggredendo il figlio e decise di andare a casa e prendere la pistola. Arrivato davanti alla parrocchia sparò colpendo il carabiniere che stava cercando di riportare la calma. Un vero eroe. La pallottola lesionò il midollo osseo del vicebrigadiere.
Leocata, ultra settantenne, fino a oggi era sottoposto agli arresti domiciliari, ma dopo la sentenza della Cassazione, che ha reso definitiva la pena, è stato emesso un’ordine di carcerazione con aggravamento della misura e trasferito in carcere.
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