L’assassinio dell’esponente di un clan rivale, pianificato da Cosa nostra, è stato sventato dai carabinieri di Catania. Ma è soltanto la punta del blitz antimafia Leonidi. L’operazione ha fatto luce sul vento di guerra tra le famiglie famose della zona etnea.

Tra le nove persone destinatarie dal fermo emesso dalla Dda della procura, infatti, anche Sebastiano Ercolano, 20 anni, appartenente alla storica famiglia “Ercolano-Santapaola” di Cosa nostra, che sarebbe stato uno degli ideatori e organizzatori dell’omicidio bloccato dall’operazione.

La “risposta” alla sparatoria a San Cristoforo

Dalle indagini è emerso che il delitto era la ‘risposta’ alla sparatoria della sera del 21 ottobre 2023 nel quartiere San Cristoforo, quando Pietro Salvatore Gagliano, 26 anni, indicato come appartenente al clan Cappello-Bonaccorsi, anche lui tra i fermati, avrebbe esploso quattro colpi di arma da fuoco contro appartenenti alla famiglia di Cosa Nostra.

Due degli obiettivi, rimasti illesi, avrebbero deciso di vendicarsi, nonostante indicazioni di segno contrario provenienti da altri esponenti della stessa cosca. Secondo quanto emerso dalle indagini, Sebastiano Ercolano, “per lavare l’onta subita e riaffermare la ‘credibilità’ della famiglia di Cosa Nostra etnea”, avrebbe “ideato e organizzato” l’omicidio effettuando anche “un sopralluogo nel luogo dove si nascondeva Gagliano” per “valutare in prima persona il miglior modus operandi che avrebbe garantito agli esecutori materiali” di poterlo “uccidere, fuggire, eliminare tracce di residui di arma da sparo e quindi recarsi in un locale notturno in modo da precostituirsi un alibi”.

Al centro dell’inchiesta coordinata dalla procura distrettuale le indagini, con intercettazioni, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania e avviate nel maggio dello scorso anno. Durante il periodo delle investigazioni militari dell’Arma hanno sequestrato armi, munizioni e sei chilogrammi di marijuana e un chilogrammo di cocaina.

Il contrasto tra “vecchia mafia” e la “mafia giovane”

Nel corso dell’attività di indagine è emersa più volte una netta distinzione tra l’azione della “vecchia mafia”, dei “grandi” (ovvero dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l’azione della “mafia giovane”, spregiudicata, irruente, avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall’altro.

È emersa in particolare la posizione di Davide Enrico Finocchiaro, sospettato di essere responsabile dello storico gruppo del Villaggio Sant’Agata, che avrebbe più volte rivendicato con orgoglio la propria appartenenza a Cosa Nostra catanese anche in quanto espressione di un gruppo “insignito di medaglie” ovvero “i morti, gli ergastolani”, volendo alludere ai sodali uccisi e agli omicidi commessi dal gruppo, così involontariamente ribadendo e confermando che il credito mafioso derivava in primis dalla potenza militare, dalla capacità di uccidere, dalla capacità di affrontare il carcere e scontare l’ergastolo, senza farsi fiaccare dalla carcerazione e, soprattutto senza collaborare con la giustizia.

Le indagini hanno consentito inoltre di apprezzare le interazioni tra vari gruppi della famiglia di Cosa Nostra etnea nonché tra i suddetti gruppi e i clan antagonisti, rivelando in più momenti gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una “corsa alle armi”.

Custodia cautelare in carcere

Il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti gli indagati. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, spaccio di stupefacenti, detenzione e porto d’arma da fuoco, con l’aggravante di avere favorito la mafia.

I nomi dei fermati

I nove fermati sono: Salvatore Assinnata, di 51 anni, Giuseppe Cultrato, di 53, Sebastiano Ercolano, di 20, Davide Enrico Finocchiaro, di 38, Salvatore Finocchiaro, di 48, Salvatore Pietro Gagliano, di 26, Salvatore Poidomani, di 52, Antonino Razza, di 37, e Samuele Romeo, di 24.