“Compare, non vale la pena ormai fare le estorsioni ai commercianti, con i contributi dell’Unione europea si campa alla grande senza rischi”. La ‘rivelazione’ arriva dal colloquio tra due esponenti della mafia dei Nebrodi – riportato dal Sole 24 Ore – ascoltato in una intercettazione telefonica in una delle tante inchieste avviate in quell’area.
Quella dei Nebrodi è un’area attentamente monitorata da qualche tempo vista la pericolosità delle organizzazioni criminali che vi operano e considerato il grande business derivante dalle truffe all’Unione europea, dall’abigeato (furti di animali sono sempre più frequenti), dalla macellazione clandestina.
I Nebrodi – teatro della sparatoria contro il presidente dell’Ente parco Giuseppe Antoci – sono da sempre e negli ultimi anni ancora di più il regno delle agromafie che hanno agito indisturbate, hanno goduto e godono di complicità di vario genere: dalla politica ai professionisti. Una zona grigia che qui è rimasta tale perché, spesso, manca l’elemento associativo e dunque le inchieste restano limitate a truffe, false certificazioni, mancati controlli.
Ma il fenomeno è ampio e la compiacenza, per esempio, di qualche veterinario ha consentito di macellare per buoni animali rubati e magari, a volte, anche malati. Oppure ha consentito in passato di far apparire malati animali sani con l’obiettivo di ottenere contributi per l’abbattimento. Ma la cosa più bella, racconta qualche allevatore che ovviamente non vuole essere citato, è quella che riguarda la certificazione di esistenza in vita di animali che invece esistono solo sulla carta: il veterinario scrive che quell’animale è vivo e invece non è mai esistito.
Alla base di tutto, ovviamente, il controllo dei terreni: ci sono famiglie che hanno avuto in concessione fino a mille ettari il che si traduce in un “incasso” annuo di almeno 500mila euro quale contributo da parte dell’Agea (ed è solo una parte di un giro d’affari molto più ampio che riguarda altre indennità): guadagnano 500 euro netti l’anno a fronte di un canone di 50 euro l’ettaro. I terreni possono essere concessi dal Parco, dall’Esa (l’Ente di sviluppo agricolo) oppure dai Comuni che spesso sono proprietari di migliaia di ettari non coltivati e adibiti al pascolo. E proprio i comuni, per responsabilità dei sindaci, sembrano essere l’anello debole di questi controlli previsti dal protocollo firmato dal parco, dall’assessorato regionale all’Agricoltura e dalla prefettura di Messina. In qualche caso, in un’area che va da Mistretta a Tortorici, per gli affidamenti dei terreni continuano a rimanere fermi i bandi, non vengono avviate procedure trasparenti e mentre i vecchi affidatari, che potrebbero anche non avere la fedina penale pulita o essere persino legati alla mafia che conta, restano insediati nelle terre in regime di proroga: l’inerzia dei sindaci espone a rischi quei funzionari che chiedono il rispetto delle regole e si oppongono a procedure non trasparenti. L’attenzione è alta ma nonostante questo c’è chi sembra non accorgersene o non vuole vedere. Altro fenomeno è quello dell’intestazione a più soggetti della stessa particella catastale il che significa che con un solo terreno prendono i soldi più persone. Accade e, dicono gli addetti ai lavori, nessuno controlla.
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