Un vitigno storico, antichissimo, poi dimenticato e che adesso diventa protagonista di una “nuova giovinezza”.

Il Nocera ha conosciuto i suoi fasti in un passato lontanissimo, la leggenda racconta che Giulio Cesare volle festeggiare il suo terzo consolato proprio con un calice di Nocera.

Adesso questo antico vitigno a bacca rossa, coltivato soprattutto in provincia di Messina, arrivato con i primi coloni greci e che ha goduto di grande popolarità in epoca romana, viene riscoperto. A partire dall’inserimento nel disciplinare della doc Faro, insieme a Nerello mascalese e Nerello cappuccio.

Su questo vitigno ha puntato l’azienda Cambria di Furnari che non solo riscopre e riutilizza il Nocera in molte delle proprie produzione ma ha deciso un esperimento unico: spumantizzarlo.

Un progetto che ha dato vita al Brut “Fin che venga – Nocera Rosè – Metodo Classico”, sul quale Nino Cambria, patron dell’azienda, ha speso moltissima energia. «Baso la nostra attività sulle tre ‘t’ – racconta -, cioè Territorio, Tradizione e Tecnologia. Nel nostro paese non è stato difficile, perché è il nostro territorio a darci queste opportunità».

Ne è venuto fuori un vino degustabile a tutto pasto, dall’aperitivo al dessert, alla vista un colore rosa pesca con un perlage fino e continuo, all’olfatto un profumo delicato con sentori di frutta fresca e al gusto un sapore fine, di buona intensità e persistenza (vedi scheda tecnica in allegato).

E per celebrare il quasi millenario del territorio di Furnari Cambria ha anche dato vita ad una conferenza, moderata dal direttore di Cronache di Gusto, Fabrizio Carrera, dal titolo «Furnari: una storia, un territorio, come mille anni fa», alla quale hanno partecipato fra gli altri il sindaco di Furnari, Maurizio Crimi; l’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici; il presidente di Providi Sicilia, Leonardo Agueci.

«La Sicilia ha una cassaforte e i suoi gioielli sono anche i vitigni autoctoni – ha detto Cracolici – ed è con questi che recuperiamo l’orgoglio di appartenenza al territorio».

«La sezione di Milazzo dell’Irvo ha fatto un’opera straordinaria per selezionare questi cloni – ha spiegato Leonardo Agueci, presidente della Providi Sicilia, l’associazione dei produttori di vino e distillati dell’Isola che si occupa della valorizzazione dei vini e dei suoi derivati – Io definisco questo vitigno “eroico” perché veniva impiantato su terrazzamenti, spesso con grandi difficoltà e averlo recuperato ci ha permesso di avere una nuova diffusione di questo vino dal colore scuro e dagli aromi di bosco».