“Volevo solo salvarlo dal suicidio”. Con queste parole Daniela Santoro, madre di Stefano Argentino, rompe il silenzio e racconta agli inquirenti la propria versione dei fatti dopo il femminicidio che ha sconvolto Messina e l’Italia intera. Il caso ha avuto un’eco mediatica fortissima: da una parte la brutalità del delitto, dall’altra il ruolo della madre dell’assassino, al centro delle indagini per presunto favoreggiamento. Le dichiarazioni rese spontaneamente ai carabinieri il 5 aprile 2025 segnano una svolta nel caso e aprono nuovi interrogativi sul confine tra amore materno e complicità.

Confessione e contraddizioni: l’aiuto dopo il delitto

Daniela Santoro ha ammesso di aver aiutato il figlio dopo l’omicidio di Sara Campanella, sua compagna. Una verità pesante, consegnata agli inquirenti in lacrime e con la voce rotta dal dolore. Secondo il suo racconto, Stefano l’aveva chiamata subito dopo l’accaduto, in preda alla disperazione, sostenendo di voler porre fine alla propria vita. “Parlava di fallimento, di volerla fare finita. Ma non ha mai menzionato l’omicidio al telefono”, ha precisato la donna.

Convinta di dover impedire un gesto estremo, Daniela e il marito si sono messi in viaggio verso Messina, dove hanno trovato il figlio in uno stato di shock: bagnato dalla pioggia, muto, incapace di spiegarsi. Solo durante il tragitto verso Noto, dove la famiglia possiede un bed and breakfast, Stefano avrebbe confessato l’omicidio.

Una madre in trappola: soccorso o complicità?

Gli investigatori, però, sospettano che la Santoro abbia avuto un ruolo attivo nel piano di fuga del figlio. Un dettaglio su tutti desta sospetti: prima di partire, la donna avrebbe lasciato un biglietto al figlio maggiore di Stefano per giustificare il proprio allontanamento, parlando di problemi di salute mai esistiti. Un tentativo, secondo gli inquirenti, di coprire la fuga e prendere tempo. Daniela respinge l’accusa. Ribadisce di non aver mai avuto intenzione di favorire la latitanza del figlio, ma solo di proteggerlo da se stesso. Un atto d’amore, dice, non di disonestà. Tuttavia, la linea tra soccorso morale e favoreggiamento personale diventa sempre più sottile agli occhi della legge.

Un figlio, una tragedia, due famiglie distrutte

Le sue parole, rilasciate anche in un’intervista a Tgcom24, rivelano il profondo smarrimento di una madre che vede crollare ogni certezza. “Stefano è sempre stato un ragazzo buono. Anche per noi è una tragedia”, afferma tra le lacrime. Una dichiarazione che mostra l’altro volto della tragedia: quello di una famiglia distrutta, colpita da un dolore che non trova parole. Né giustificazioni né sconti per l’assassino, ma solo la consapevolezza che due famiglie sono ora segnate per sempre: quella di Sara, spezzata da una violenza irreparabile, e quella di Stefano, spezzata dalla vergogna e dal rimorso.

Il contesto giuridico: le indagini sul ruolo della madre

Sul fronte giudiziario, le dichiarazioni della Santoro verranno valutate attentamente per stabilire se possano configurare un reato di favoreggiamento personale. La sua condotta, infatti, potrebbe aver compromesso le indagini nelle ore successive all’omicidio. Resta da chiarire quanto sapesse realmente Daniela nel momento in cui ha raggiunto il figlio e se le sue azioni abbiano avuto un impatto diretto sulla temporanea irreperibilità di Stefano. L’inchiesta si arricchisce così di un nuovo, delicatissimo filone, destinato a intrecciarsi con l’accertamento delle responsabilità penali del giovane.

Un Paese che si interroga: il peso della coscienza e della legge

Il caso di Messina ha sollevato domande profonde nel dibattito pubblico italiano. Cosa può spingere una madre ad aiutare un figlio colpevole di un delitto così grave? È possibile distinguere tra istinto materno e responsabilità penale? E soprattutto, quale spazio può trovare la giustizia quando il dolore travolge ogni logica? Le parole di Daniela Santoro, per quanto sincere e strazianti, non cancellano l’orrore del gesto compiuto da Stefano. Ma impongono una riflessione più ampia su come la società possa affrontare il fenomeno dei femminicidi, non solo dal punto di vista penale, ma anche umano, culturale e familiare.

L’eco di una tragedia senza redenzione

La storia di Sara Campanella e Stefano Argentino non è solo un fatto di cronaca nera: è il ritratto di un fallimento collettivo. Della violenza che ancora devasta le relazioni, dell’incapacità di prevenire, della fragilità delle persone coinvolte. E ora anche del dolore sordo di una madre, incapace di separare l’amore per un figlio dal senso della giustizia. Le indagini proseguono, ma la verità più difficile da accettare è già evidente: nessuno, in questa vicenda, potrà mai dirsi davvero salvo.