Novantuno condannati e 10 assolti. Si è concluso così il processo sulla cosiddetta mafia dei Nebrodi celebrato davanti al tribunale di Patti. Un maxi processo che ha portato a condanne per circa sei secoli di carcere e al sequestro di beni per circa 4 milioni di euro. Il presidente del collegio ha impiegato 35 minuti per leggere il dispositivo.

Pene più alte ai boss dei Betanesi

Tra le pene più alte quelle inflitte ai boss della cosca dei Batanesi Aurelio Salvatore Faranda, condannato a 30 anni, e Sebastiano Conti Mica, a 23. Gli imputati sono stati condannati anche a pesanti risarcimenti in favore delle parti civili.

Le accuse

Gli imputati erano accusati a vario titolo di associazione mafiosa, truffa all’Ue, falso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori. A istruire l’atto d’accusa alle “famiglie” mafiose dei Nebrodi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo è stata la Dda di Messina che in 20 mesi ha ricostruito davanti al tribunale di Patti gli organigrammi dei clan svelando complicità di prestanomi e insospettabili professionisti.

Non è più mafia dei pascoli

La “mafia dei pascoli” non c’è più, hanno sostenuto i pm. Al suo posto c’è una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi e capace di sfruttare le potenzialità offerte dall’Unione Europea all’agricoltura. Prevalentemente su base familiare, in rapporti con Cosa nostra palermitana e catanese, la mafia dei Nebrodi ha continuato a usare vecchi metodi come la minaccia e la violenza, ma i taglieggiamenti spesso erano finalizzati all’accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari; “settore, questo, – scrisse il gip che firmò oltre 90 misure cautelari e il sequestro di 151 imprese – che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose”.

Il denaro illecito transitava sui conti esteri e poi spariva

Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, “rientrare in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce”. I clan grazie all’aiuto di professionisti puntavano all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale e – spiegò il gip – “depredandolo di ingentissime risorse”.

I colletti bianchi, dal notaio ai funzionari dei Centri Commerciali Agricoli

Sotto processo c’erano i capi dei clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo. A fiutare l’affare milionario sono stati loro che, anche grazie all’aiuto di un notaio e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei, hanno incassato fiumi di denaro sbancando le casse dell’Agea.

Fra le parti civili nel processo l’assessorato regionale Territorio ambiente, il Parco dei Nebrodi, il centro studio Pio Lo Torre, l’Agea, il Comune di Tortorici. Le indagini iniziate su input inizialmente anche dall’ex procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia ora procuratore a Palermo. In aula anche molti degli avvocati dei 101 imputati che invece erano collegati in videoconferenza.

L’uomo che denunciò

In aula anche Giuseppe Antoci presidente della Fondazione Caponnetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi che ha denunciato il rischio che le mani dei clan arrivassero ai fondi europei.

Dispositivo sentenza complesso

“Le truffe sono state riconosciute per buona parte” ha detto subito dopo il pronunciamento della sentenza il pm di Messina Vito Di Giorgio.

“Resta il fatto che su quella parte di territorio della provincia di Messina hanno costituito la principale fonte di arricchimento sia del gruppo mafioso dei Batanesi sia del gruppo dei Bontempo Scavo, ma teniamo conto che è solo la sentenza di primo grado”.

“E’ stata riconosciuta la mafiosità dei Batanesi mentre per il gruppo dei Bontempo Scavo no – ha aggiunto – E’ un
dispositivo talmente complesso che va letto attentamente”, ha concluso.

La soddisfazione di Antoci

Giuseppe Antoci in aula per la sentenza sulla mafia dei Nebrodi

“E’ un momento importante. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia” ha detto Giuseppe Antoci ex presidente del Parco dei Nebrodi, che aveva denunciato gli interessi dei clan messinesi sui fondi europei. “La lotta alla mafia non si può fare solo con la repressione ma va fatta ogni giorno”, ha aggiunto.

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