Il Gup di Messina, Simona Finocchiaro, ha rinviato a giudizio 104 persone a conclusione dell’udienza preliminare per l’operazione Nebrodi sulla mafia dei pascoli.

Al centro dell’inchiesta della Dda della Città dello Stretto truffe agricole all’Agea e all’Unione Europea dei clan mafiosi tortorciani con 113 indagati. Quattro hanno fatto accesso al patteggiamento, sette hanno scelto il rito abbreviato e la posizione di altri 18 è stata stralciata e trasmessa per competenza territoriale alla Procura di Catania.

L’inchiesta ha delineato i nuovi assetti delle due storiche associazioni mafiose tortoriciane, i Bontempo Scavo e i Batanesi, che oltre all’egemonia nella zona nebroidea erano in grado di interfacciarsi con le “famiglie” di Catania, Enna e del mandamento delle Madonie di Cosa nostra palermitana. Il maxiprocesso Nebrodi inizierà il 2 marzo 2021 all’aula bunker di Messina.

Le accuse sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa aggravata, intestazione fittizia di beni, estorsione, traffico di droga. L’indagine coinvolge anche imprenditori e professionisti insospettabili. L’indagine, condotta dai carabinieri del Ros, dal comando provinciale di Messina e del Comando Tutela Agroalimentare e dai Finanzieri del Comando provinciale di Messina riporta che i clan avrebbero intascato indebitamente fondi europei per oltre 5,5 milioni di euro, mettendo a segno centinaia di truffe all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l’ente che eroga i finanziamenti stanziati dall’Ue ai produttori agricoli.

I clan storici di Tortorici, paese dei Nebrodi, i Batanesi e i Bontempo Scavo, grazie all’aiuto di un notaio compiacente e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei per l’agricoltura, avrebbero incassato fiumi di denaro e, invece di farsi la guerra, si sarebbero alleati, spartendosi virtualmente gli appezzamenti di terreno, in larghissime aree della Sicilia ed anche al di fuori dalla regione, necessari per le richieste di sovvenzioni.

La truffa si basava sulla individuazione di terreni “liberi” (quelli, cioè, per i quali non erano state presentate domande di contributi). A segnalare gli appezzamenti utili spesso erano i dipendenti dei CCA che avevano accesso alle banche dati. La disponibilità dei terreni da indicare era ottenuta o imponendo ai proprietari reali di stipulare falsi contratti di affitto con prestanomi dei mafiosi o attraverso atti notarili falsi. Sulla base della finta disponibilità delle particelle, veniva istruita da funzionari complici la pratica per richiedere le somme che poi venivano accreditate al richiedente prestanome dei boss spesso su conti esteri.
“Per anni tutto rimaneva sotto traccia e mentre ciò accadeva, nel silenzio e nella paura di tutti, le famiglie mafiose introitano milioni di euro nei loro conti correnti. Tutti incredibilmente soldi pubblici. Adesso la Giustizia farà il suo corso e il Processo restituirà, certamente, dignità e coraggio ad un territorio che non meritava di essere tenuto sotto scacco da questi personaggi” . Lo afferma l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.

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