“La scarcerazione di Angelo Porcino – elemento di spicco del clan di Barcellona Pozzo di Gotto, fedele di Rosario Cattafi, il mafioso emblema della criminalità organizzata della città in provincia di Messina, attorno cui gravita anche Giuseppe Gullotti condannato con sentenza definitiva per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano – è l’ennesima dimostrazione del caos che regna sovrano presso il Ministero della Giustizia e le sue articolazioni periferiche. Aspettando di leggere l’annunciato decreto del Ministro Bonafede assistiamo, sgomenti, al rientro nella sua casa del capomafia siciliano”, così Giusi Bartolozzi (FI), componente della commissione nazionale antimafia. “Domani parteciperò alla Plenaria della commissione, convocata su nostra sollecitazione, anche per verificare l’effettivo numero delle scarcerazioni di detenuti al 41bis o in alta protezione e monitorare le domande ancora pendenti. Il grido dolore lanciato dai familiari del giornalista Beppe Alfano, così come quello di tutte le altre vittime di mano mafiosa, non resti muto. Al loro fianco, in questa battaglia di civiltà giuridica, perchè nel perseguimento delle finalita’ rieducative del condannato e nella tutela della loro salute fisica non siano trascurate le esigenze di sicurezza della collettivita’, come stigmatizzato anche udalla presidente Marta Cartabia”, conclude.
Porcino era detenuto a Voghera (Pavia) per associazione mafiosa, dove stava scontando un residuo pena di una condanna a 11 anni di reclusione per associazione mafiosa emessa nell’ambito processo ‘Gotha’ incardinato dalla Dda di Messina, è stato posto ai domiciliari a Barcellona Pozza di Gotto per motivi di salute dal Tribunale di sorveglianza di Milano. Per lo stesso motivo nello scorso mese di marzo il Gip di Messina aveva disposto i domiciliari per lui destinatario di un’ordine di carcerazione nell’ambito dell’operazione antimafia Dinastia. In passato era stato indagato, ma poi prosciolto, nell’inchiesta della Procura di Viterbo nel supplemento d’indagini sulla morte dell’urologo siciliano Attilio Manca, avvenuta nella città laziale il 12 novembre del 2005. L’ipotesi era che il medico fosse stato costretto ad assistere un latitante eccellente: il boss Bernardo Provenzano. “E’ paradossale che il governo continui a emanare confusi provvedimenti per condizionare la vita dei cittadini italiani forse anche incostituzionali – dicono Gianpiero Cannella e Salvo Pogliese – con il pretesto del Coronavirus, mentre il premier e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede assistono inermi alle scarcerazioni dei capimafia detenuti, senza reagire con un decreto legge che blocchi i domiciliari a questi pericolosi pregiudicati, con il Dap che continua a cincischiare con atteggiamenti ondivaghi”
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