Una guerra di norme sulle nuove autorizzazioni per gli ambulanti accende il dibattito politico e sindacale mentre la categoria sprofonda nella crisi. Confimprese Italia smentisce che nel commercio ambulante il numero delle autorizzazioni disponibili è limitato. Al contrario molti spazi si sono liberati proprio per via della progressiva chiusura di tante attività del settore. A tal proposito la sigla di categoria ha inviato una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni ed al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Ad essere espressa la posizione dell’associazione in merito alla lettera del presidente Mattarella con il “richiamo al governo ed al parlamento” riferito, tra gli altri, ai contenuti dell’articolo 11 della legge sulla concorrenza.

Il rischio

Mattarella ha sostenuto che la legge, in materia di assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche, oltre a disciplinare le modalità di rilascio delle nuove concessioni, introduce l’ennesima proroga automatica delle concessioni in essere, per un periodo estremamente lungo. E questo appare incompatibile con i principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia, dalla Corte costituzionale, dalla giurisprudenza amministrativa e dall’autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di apertura al mercato dei servizi. Per Confimprese, invece, c’è il rischio che scoppi una vera e propria guerra per le licenze in una categoria già molto vessata dalla crisi economica.

Tecnicismi lontani dalla realtà

Corte Costituzionale e giustizia amministrativa si baserebbero, secondo Confimpresa, su tecnicismi lontani dalla situazione reale. “Pur condividendo lo spirito interpretativo della norma – ha commentato Giovanni Felice, vicepresidente vicario di Confimprese Italia – non possiamo fare a meno di rilevare alcune palesi contraddizioni tra l’applicazione teorica e la realtà. Se è vero che la Corte Costituzionale e la giustizia amministrativa si sono pronunciate sulle conflittuali leggi in vigore, il problema non è nel conflitto tra le norme emanate dalle varie istituzioni. Semmai nello stabilire se il commercio su aree pubbliche oggi rientri tra quelli che, sempre in base alle direttive comunitarie, sono regolamentate da un ben preciso passaggio. Quello che recita che nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività economica sia limitato a causa della scarsità di risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, l’autorizzazione deve essere rilasciata per una durata limitata”.

Le colpe dei Comuni

Nel commercio ambulante, a causa della crisi, esiste grande disponibilità di autorizzazioni. “A supporto della nostra tesi – insiste il vicepresidente di Confimpresa – ci sono i dati dell’osservatorio nazionale sul commercio. Evidenziano come le autorizzazioni attualmente in vigore sono al minimo storico rispetto al 2006. Infatti, dopo avere raggiunto un picco nel 2016 con 195.583 autorizzazioni, in Italia  al 31 marzo 2023 sono 160.145, oltre 35.000 unità in meno, di cui 19.056 nell’ultimo triennio. Come si fa a sostenere che la domanda è maggiore della disponibilità di posteggi se ad oggi c’è grande disponibilità degli stessi in tanti mercati? Ad oggi, i Comuni mirano a restringerli ed a rendere ancora più periferiche le loro dislocazioni accentuando le condizioni di crisi del settore”.

Le nuove regole per i rinnovi

Giusto applicare nuove regole per i rinnovi. Per rilanciare i mercati, va premiata la professionalità. “Appare pacifico, che pur sottraendo il commercio su aree pubbliche ‘dalle attività economiche limitate’ – insiste Felice -, vanno comunque individuate modalità di rinnovo. In modo da tenere conto delle indicazioni della Comunità Europea ma che non diventino elemento per generare confusione e per favorire possibili elementi speculativi. Il rischio che palesiamo non riguarda l’esigenza di nuovi accessi nei mercati ma una bagarre interna per l’ottenimento di posteggi presumibilmente più redditizi. Magari sono tali solo per le capacità di chi oggi li gestisce. Non bisogna scordare che molti Comuni non procedono alla pubblicazione degli avvisi per l’assegnazione dei posteggi che si sono resi liberi. Creando i presupposti per una diminuzione del servizio che offrono i mercati, generando un danno economico per gli operatori che in esso operano”.

La proposta

Questo il piano di intervento secondo Confimprese. “Proponiamo che il primo step verso il rinnovo delle autorizzazioni – conclude il vicepresidente vicario – possa essere quello di assegnare i posteggi resisi vacanti. Poi, anche in relazione alle richieste pervenute ai Comuni, individuare i criteri ed i tempi medi di rinnovo. Nel caso dei mercati settimanali, non possono essere inferiori all’ammortamento del costo dei beni necessari all’attività, quali ad esempio il mezzo di trasporto o l’autonegozio. Ritornare al periodo previsto dalla precedente normativa, un periodo di 9 anni, potrebbe essere una scelta. Resta salva la necessità di individuare tra i requisiti prioritari per il rinnovo un livello di professionalità tale da garantire la salvaguardia del sistema mercato. Il mercato è un elemento aggregato e basta un abbassamento della professionalità di un paio di operatori commerciali per far venire meno la qualità del servizio offerto. Con grave danno per i consumatori, specialmente quelli a basso reddito e quindi la sua attrattività e la conseguente redditività per gli operatori che in esso svolgono la propria attività”.

Dati relativi alla Sicilia

Nel 2006, anno della prima legge sulle liberalizzazioni in Italia, le aziende ambulanti in Sicilia erano 18.934. Il massimo delle aziende è stato raggiunto nel 2015 sfiorando le quasi 22 mila unità. Oggi gli ambulanti in attività sono 17.701, il che significa che ci sono 4.200 aziende in meno del valore massimo e quindi una disponibilità di posteggi pari a 23,7 per cento del totale delle licenze. I dati elaborati da Confimprese sono tratti dall’Osservatorio del Commercio del ministero delle Imprese e del Made in Italy, mentre il dato riferito a marzo 2023 è di Unioncamere.

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