• La Francia ha introdotto le categorie ‘super rosso’ e ‘scarlatto’ per indicare le città con più contagi.
  • Per l’infettivologo Matteo Bassetti i francesi ci stanno copiando ma lo fanno male.
  • I soldati in Francia rimpatriati da Wuhan il 31 gennaio scorso non sono stati testati.

In Francia entra in vigore una nuova classificazione per indicare il tasso di contagio da coronavirus nelle aree. La nuova cartografia è stata presentata oggi, mercoledì 23 settmbre, dal ministro della Salute francese, Olivier Véran.

Innanzitutto, Parigi e altre città nella categoria super-rosso o scarlatto. Ciò comporterà una serie di nuove misure restrittive contro il Sars-CoV-2.

Raggiunto da Adnkronos Salute, Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, ha affermato: «Quello che per i francesi chiamano zona scarlatta o zona rossa non è altro che quello che noi stiamo facendo da maggio. Ci stanno copiando, anche se noi abbiamo un’epidemia controllata con meno casi. Diciamolo, noi abbiamo fatto le cose meglio».

«Bisogna fare attenzione, qui da noi sui media sembra che in Francia ci sia un lockdown, ma non è così. Si tratta solo delle misure di contenimento che stiamo applicando, bene, noi italiani da mesi – ha aggiunto – Forse l’unica misura in più è quella del divieto di feste con più di 10 persone. Siamo il Paese in Europa che usa di più le mascherine, solo il 3% non le usa. In Italia abbiamo lavorato bene ed è ora di finirla di criticare gli italiani, cerchiamo anche qualche volta di riconoscere i loro meriti. Occorre, in Italia, maggiore tranquillità nella comunicazione, uno sforzo per il bene comune nello stimolare una nuova educazione civica e un nuovo rispetto per gli altri. Non la politica della sanzione ma il convincimento che le misure in vigore servono per proteggere noi e la comunità».

Dalla Francia, poi, la notizia dell’ammissione da parte del ministro della Difesa Florence Parly davanti a una commissione d’inchiesta del Senato che i militari francesi rimpatriati da Wuhan (Cina) il 31 gennaio scorso non sono stati sottoposti a test diagnostico. Parly, invece, il 4 marzo scorso, all’emittente France 2, aveva ammesso il contrario, sostenendo che i soldari non erano «portatori di virus».

L’emittente radiofonica France info ha ricordato che alcune settimane dopo il rientro dei militari è scoppiato il primo focolaio di coronavirus a Crepy-en-Valois, a 30 chilometri dalla base, nel dipartimento dell’Oise: «Gli equipaggi sono stati sottoposti a un protocollo sanitario estremamente rigido ma in quel momento non prevedeva dei test».

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