La pandemia da coronavirus ha rivoluzionato le nostre vite sotto molti aspetti, e uno di questi è rappresentato senza dubbio dall’esplosione dello smart working. Grazie alla possibilità di lavorare da remoto, sono tanti gli italiani che affermano di essere disponibili a farsi assumere anche da aziende straniere non presenti da noi. Insomma, varcare i confini non è certo un tabù, ma con lo smart working questo trasferimento potrebbe essere unicamente virtuale.

La ricerca del Boston Consulting Group

Si intitola “Decoding Global Talent, Onsite and Virtual” il report del Boston Consulting Group da cui emerge questa tendenza. In 190 Paesi di tutto il mondo sono state intervistate 209mila persone, e tra i lavoratori italiani 9 su 10 hanno affermato di essere disposti ad andare via pur di sfruttare occasioni di lavoro. Come si può intuire, si tratta di un punteggio decisamente elevato, ma al tempo stesso un cambiamento del trend rilevato fino a poco tempo fa. Per lo studio, tutto dipende dalla situazione del momento, molto complessa; basti pensare che solo nel 2018 appena il 55% degli italiani si dichiarava propenso ad andare oltreconfine per lavoro.

La tendenza italiana

Ma va detto che la tendenza del nostro Paese è opposta anche a quella mondiale. Per esempio, nel 2014 in tutto il pianeta poco meno del 64% degli intervistati dichiarava di essere interessato a lavorare in un Paese diverso dal proprio, e questa quota si è abbassata al 57% nel 2018 e al 50% nel 2020. Sempre a causa della diffusione dello smart working, ci sono molti italiani che sostengono di non essere contrari alla possibilità di lavorare da remoto anche per imprese non italiane che non hanno una sede fisica da noi: in pratica, il 71% degli italiani, a fronte di una media mondiale del 57%. Le conseguenze della situazione di emergenza sanitaria hanno amplificato un trend che aveva già preso il via, e ciò si traduce in una transizione in direzione di una forma di mobilità inedita.

Che cosa potrebbe cambiare

Alla base di tutto ci sarebbe una modulazione del telelavoro, il quale costituisce un’occasione preziosa e inedita anche per le aziende, sempre a condizione che venga sfruttata con cura. Secondo la ricerca, poter contare su una forza lavoro distribuita in Paesi diversi, e quindi virtuale, può offrire diversi benefici ma al tempo stesso presentare degli aspetti critici. Uno dei potenziali problemi è di natura contrattuale, nel senso che il rapporto di lavoro non può non adeguarsi alle condizioni normative specifiche delle leggi dei vari Paesi, ma al contempo occorre una formula valida ugualmente per tutti i dipendenti. E un discorso simile riguarda i salari. Inoltre, un corretto equilibrio dal punto di vista organizzativo rischia di essere compromesso dalle conseguenze dei fusi orari.

Chi va e chi viene

Tra gli stranieri che più degli altri dimostrano di apprezzare l’Italia come destinazione per venire a lavorare ci sono gli svizzeri, i turchi, i rumeni, gli spagnoli e gli albanesi. Per quanto riguarda il viaggio inverso, e cioè quello degli italiani che desiderano andare a lavorare all’estero, la destinazione privilegiata è la Svizzera, forse anche per la vicinanza geografica. Nel giro di un paio di anni il Paese elvetico ha guadagnato quattro posti in questa particolare graduatoria, scalzando dal primo gradino del podio il Regno Unito, che probabilmente ha patito l’effetto Brexit. In terza posizione è stabile, invece, la Germania. La Svizzera, poi, è al primo posto nella graduatoria delle mete che i nostri connazionali prenderebbero in considerazione per fare smart working, seguita dagli Stati Uniti, dalla Germania, dalla Gran Bretagna e dalla Francia.

La situazione nel resto del mondo

Per chi è interessato a sapere come lavorare all’estero, sarà utile scoprire che Londra è la città più attrattiva in tutto il mondo: in questo caso, evidentemente, l’effetto Brexit non si è avvertito. La capitale inglese conserva un fascino immutabile e un appeal speciale, a dispetto delle incertezze degli anni più recenti, mantenendo una notevole forza attrattiva verso chi si dice disposto ad andare a lavorare in un Paese diverso dal proprio. In seconda posizione c’è Amsterdam, mentre il terzo gradino del podio è occupato da Dubai. Nella top five è presente anche Abu Dhabi.

La classifica mondiale

Sempre per quanto riguarda la classifica mondiale, gli Stati Uniti hanno perso la prima posizione per le mete privilegiate dai lavoratori, in quanto il primato spetta al Canada. Quasi 1 intervistato su 5 ha indicato questo Paese come destinazione interessante, sia per le condizioni generali più favorevoli sia perché – in base all’analisi di Bcg – la pandemia è stata gestita con successo. Gli Stati Uniti, con il 20%, sono secondi a pari merito con l’Australia: sono in parte penalizzati dalle misure poco favorevoli che sono state adottate nel corso della presidenza Trump e, forse, da una gestione della situazione di allerta sanitaria più complicata del previsto. Tuttavia gli Usa riconquistano la prima posizione quando si parla dei Paesi ideali per un lavoro da remoto, essendo stati scelti da 1 intervistato su 5. Il Canada e l’Australia si contendono la seconda posizione con il 22%, e subito fuori dal podio compare la Germania. Ma la geografia mondiale del lavoro sembra in procinto di cambiare ancora di più.

Una panoramica sulle città

Lo dimostra il quindicesimo posto di Seul: la capitale della Corea del Sud è una delle città emergenti, al pari di Kuala Lumpur e di Pechino, che si collocano rispettivamente al 19esimo e al 22esimo posto. Come dire: l’Asia tenta di emergere, fermo restando che nelle prime dieci posizioni ci sono già due metropoli come Tokyo e Singapore. In ottava piazza ecco New York, mentre Toronto è al 14esimo posto.

In fuga dalla Sicilia

Se il quadro nazionale mostra un desiderio di scappare dall’Italia, la situazione in Sicilia non può essere diversa: e infatti nel giro di appena un anno sono stati 12mila i lavoratori che hanno lasciato l’isola per vivere un’avventura professionale altrove. Non solo: tra tutti i ragazzi che si spostano dal Sud al Nord in cerca di fortuna, ben un quarto proviene dalla Sicilia. La Sicilia è la seconda regione d’Italia, dopo la Lombardia, per numero di espatriati. Lo rivela un rapporto dell’Istat, che per fornire questi dati si è basato sulle iscrizioni anagrafiche e sulle cancellazioni.

Una regione sempre più spopolata

Nel giro di due anni la Sicilia è scesa sotto la soglia dei 5 milioni di abitanti, a conferma di un trend che la vede spopolarsi sempre di più. In tutta Italia nel 2019 quasi 180mila persone sono andate via, e ciò che preoccupa è che si tratta di un dato in crescita del 14% rispetto al precedente anno: di questi 180mila, 2 su 3 sono italiani. E se è vero che più di 68mila italiani sono rientrati da Paesi stranieri, ecco che il saldo finale ha il segno meno, con un passivo di più di 50mila unità. Specialmente a partire dal 2015, secondo l’Istat, i saldi migratori sono stati negativi per quasi 70mila individui ogni anno. In Sicilia il tasso di emigrazione è pari al tre per mille, come in Abruzzo, in Calabria e in Molise, a fronte di una media nazionale che si aggira intorno al due per mille.