Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, il subcontinente indiano è stato scosso da un’escalation militare senza precedenti negli ultimi vent’anni. L’India ha lanciato l’Operazione Sindoor, un’azione mirata contro presunte infrastrutture terroristiche in Pakistan, in risposta a un attacco terroristico che ha ucciso 26 persone a Pahalgam, nel Kashmir indiano, il 22 aprile.

Il Pakistan ha reagito con forza, denunciando un “atto di guerra” e rispondendo con attacchi di artiglieria e abbattimenti di droni e aerei indiani.

Le radici di un conflitto storico

Il conflitto tra India e Pakistan affonda le sue radici nella partizione del 1947, quando l’Impero britannico si ritirò dal subcontinente, dando vita a due stati: l’India, a maggioranza induista, e il Pakistan, a maggioranza musulmana. Al centro della disputa c’è il Kashmir, una regione a maggioranza musulmana ma governata da un maharaja induista che scelse di unirsi all’India. Da allora, le due nazioni hanno combattuto tre guerre, due delle quali proprio per il controllo del Kashmir, e continuano a contendersi la regione lungo la Linea di Controllo (LoC), un confine de facto stabilito nel 1972 con l’Accordo di Shimla.

Le tensioni si sono acuite negli ultimi decenni a causa di attacchi terroristici attribuiti a gruppi come Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammed, che l’India accusa il Pakistan di sostenere. Islamabad, dal canto suo, nega ogni coinvolgimento e chiede indagini internazionali neutrali. Questo contesto di sfiducia reciproca ha portato a una serie di violazioni del cessate il fuoco lungo la LoC, culminate negli eventi di questo mese di maggio.

L’attentato di Pahalgam: la scintilla della crisi

Il 22 aprile scorso un attacco terroristico nella località turistica di Pahalgam, nel Kashmir amministrato dall’India, ha segnato l’inizio dell’attuale crisi. Un commando armato ha aperto il fuoco su un gruppo di turisti, uccidendo 26 persone, in prevalenza indiani di fede induista, tra cui donne in pellegrinaggio. L’attacco, rivendicato dal gruppo The Resistance Front, considerato da Nuova Delhi un’emanazione di Lashkar-e-Taiba, ha provocato un’ondata di indignazione in India.

Il primo ministro indiano Narendra Modi ha promesso una risposta decisa, accusando il Pakistan di sostenere i terroristi. “Identificheremo, rintracceremo e puniremo ogni terrorista e i suoi sostenitori”, ha dichiarato Modi. In risposta, l’India ha espulso diplomatici pakistani, sospeso il Trattato sulle Acque dell’Indo e chiuso i valichi di frontiera, mentre il Pakistan ha replicato con misure analoghe, sospendendo l’Accordo di Shimla.

Operazione Sindoor: un’azione mirata o un atto di guerra?

Nella notte del 6 maggio, l’India ha lanciato l’Operazione Sindoor, un’azione militare che ha colpito nove siti in Pakistan e nel Kashmir pakistano, tra cui presunti campi di addestramento terroristici a Muzaffarabad, Kotli e Bahawalpur. Il nome “Sindoor” richiama la polvere rossa usata nei rituali induisti, un simbolo di protezione e sacrificio, in riferimento alle vittime dell’attentato di Pahalgam. Secondo il Ministero della Difesa indiano, l’operazione ha eliminato oltre 100 terroristi, tra cui figure di spicco come Abdul Rauf Azhar, mente del dirottamento dell’IC 814 a Kandahar, senza colpire strutture militari pakistane.

“L’azione è stata concentrata, misurata e priva di intenzioni di escalation. Nessuna struttura militare è stata presa di mira” ha dichiarato il Ministero della Difesa indiano in un comunicato. Tuttavia, il Pakistan ha denunciato la morte di 31 civili, tra cui donne e due bambine, e il ferimento di altre 57 persone, con attacchi che avrebbero colpito una moschea a Bahawalpur e altre infrastrutture civili. Il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif ha definito gli attacchi “vigliacchi” e un “atto di guerra,” autorizzando le forze armate a rispondere in conformità all’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

La risposta pakistana e l’escalation militare

La reazione del Pakistan non si è fatta attendere. Le forze armate di Islamabad hanno abbattuto cinque aerei indiani durante l’Operazione Sindoor e, nelle ore successive, hanno intensificato il fuoco lungo la Linea di Controllo, utilizzando mortai e artiglieria pesante nelle aree di Kupwara, Baramulla, Uri, Poonch, Mendhar e Rajouri. Secondo il Ministero degli Esteri indiano, queste violazioni del cessate il fuoco hanno causato la morte di 13 civili e il ferimento di 59 persone nel distretto di Poonch.

Nella notte tra il 7 e l’8 maggio, il Pakistan ha tentato di colpire obiettivi militari indiani in India settentrionale e occidentale, tra cui Srinagar, Jammu, Pathankot e Amritsar, utilizzando droni e missili.

Il Ministero della Difesa indiano ha dichiarato che gli attacchi sono stati “neutralizzati” dai sistemi di difesa aerea, con detriti recuperati in diverse località. In risposta, l’India ha colpito radar e sistemi di difesa aerea pakistani, neutralizzando un sistema a Lahore.

L’esercito pakistano ha riferito di aver abbattuto 25 droni Harop di fabbricazione israeliana lanciati dall’India, alcuni dei quali caduti vicino a installazioni militari sensibili. “I detriti dei droni vengono recuperati in diverse zone del Pakistan” ha dichiarato il Servizio Interforze di Pubbliche Relazioni (ISPR) pakistano. Le autorità di Islamabad hanno sospeso temporaneamente le operazioni di volo negli aeroporti di Islamabad, Karachi, Lahore e Sialkot per ragioni operative.

Il rischio nucleare e le reazioni internazionali

Con entrambe le nazioni in possesso di arsenali nucleari, la crisi ha sollevato timori di un’escalation catastrofica. Il Pakistan, che adotta una dottrina di “first use” nucleare, ha avvertito che un conflitto convenzionale potrebbe degenerare rapidamente. “Se l’India spinge la regione verso una guerra nucleare, ne subirà tutte le conseguenze,” ha dichiarato il Ministro della Difesa pakistano Khawaja Asif a Geo News.

La comunità internazionale ha reagito con appelli urgenti alla de-escalation. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha espresso “profonda preoccupazione” per l’escalation, esortando entrambe le parti a esercitare “massima moderazione militare”. “Il mondo non può permettersi un confronto militare tra India e Pakistan,” ha dichiarato il suo portavoce Stephane Dujarric.

L’Iran, attraverso il Ministro degli Esteri Abbas Araghchi, ha offerto un ruolo di mediazione. “Puntiamo a una de-escalation tra India e Pakistan. Ci auguriamo che entrambe le parti dimostrino moderazione per evitare ulteriori tensioni” ha dichiarato Araghchi durante una visita a Nuova Delhi, dopo un incontro a Islamabad.

Anche Cina, Stati Uniti, Russia e Regno Unito hanno chiesto moderazione, con la Cina che si è detta disponibile a “svolgere un ruolo costruttivo”.

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito l’escalation “una vergogna”, augurandosi che la crisi “finisca molto presto.” Il premier britannico Keir Starmer ha incoraggiato “dialogo, de-escalation e protezione dei civili” mentre il Cremlino ha invitato entrambe le parti a ricorrere a “metodi negoziali”.